Così fan tutte

1998

A pochi mesi dai festeggiamenti per i cinquant’anni del Piccolo, per inaugurare la tanto attesa nuova sala di largo Greppi, Strehler sceglie Così fan tutte, concludendo così, dopo Le nozze di Figaro (1973) e Don Giovanni (1987), la cosiddetta “trilogia dell’amore” dell’amatissimo Mozart. Nel progetto artistico del regista, il grande teatro che oggi porta il suo nome avrebbe dovuto ospitare non solo grandi spettacoli di prosa, ma anche opere liriche, balletti, concerti e proiezioni, andando a costituire, insieme al vicino Teatro Studio, una nuova “cittadella della cultura”.

Con infaticabile passione si dedica a selezionare gli interpreti, ai quali è richiesto di essere tanto perfetti musicisti, quanto credibili attori: dev’essere un’opera di giovani, eseguita da giovani artisti. «Di vecchio non ci devo essere che io» dichiara.

Ecco allora che Strehler sceglie dodici cantanti, provenienti da otto diversi paesi, per creare le due compagnie che si alterneranno sul palcoscenico del Nuovo Teatro. L’orchestra, diretta da Ion Marin, sarà la Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, e il Coro quello della Civica Scuola di Musica, a sottolineare come la collaborazione fra le energie artistiche cittadine, anche le più giovani e in via di formazione, possa donare a Milano uno spettacolo di grande valenza culturale.

Il capolavoro di Mozart-Da Ponte per il regista è, senza mezzi termini, «un’opera erotica», in cui «due coppie vogliono scambiarsi […] ma ci sono le convenienze, non solo sociali, ma anche interiori». Così come nelle commedie dell’adorato Goldoni, «la spaventosa difficoltà di Così, per gli interpreti, è di essere seri, veri tragici, nello stesso tempo che comici, falsi e ridicoli».

Dopo ventuno giorni di prove, il 25 dicembre 1997, Strehler muore. Ai suoi collaboratori artistici (Ion Marin, Ezio Frigerio, Franca Squarciapino, Marise Flach, guidati da Carlo Battistoni) va il compito di raccogliere l’eredità del regista e di portare in scena il suo ultimo spettacolo, che girerà il mondo.

Personaggi e interpreti

Fiordiligi Eteri Gvazava / Ana Rodrigo
Dorabella Terese Cullen / Lesley Goodman
Ferrando Jonas Kaufmann / Mark Milhofer
Guglielmo Nicolas Rivenq / Markus Werba
Despina Soraya Chaves / Janet Perry
Don Alfonso Alfonso Echeverria / Alexander Malta
Coro di Soldati, Popolani, Servi Gli allievi della Scuola di Teatro: Pierluigi Corallo, Luigi Distinto, Emanuele Fortunati, Francesco Guidi, Francesco Italiano, Tommaso Minniti, Enrico Petronio, Cristian Poggioni, Lorenzo Volpi

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
Collaborazione alla regia Marise Flach
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino

Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Concertazione e direzione d’orchestra Ion Marin
Coro della Civica Scuola di Musica di Milano
Maestro del Coro Alfonso Cariani
Consulente musicale Carlo de Incontrera

Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Milano, Nuovo Piccolo Teatro, 26 gennaio 1998

Riprese

1998-2000

Il 19 dicembre 1998 Raidue trasmette, all’interno del programma Palcoscenico, la versione televisiva dello spettacolo, firmata da Carlo Battistoni.

Nell’inverno dell’anno successivo, lo spettacolo è in scena a Reggio Emilia e Modena, per poi tornare a Milano con la seguente distribuzione:

Fiordiligi Fiorella Burato / Eteri Gvazava / Adriana Damato
Dorabella Terese Cullen / Annely Peebo / Gabriella Sborgi
Ferrando Jonas Kaufmann / Mark Milhofer
Guglielmo Nicolas Rivenq / Markus Werba
Despina Soraya Chaves / Janet Perry
Don Alfonso Alfonso Echeverria / Alexander Malta
Servi, Suonatori Gli allievi della Scuola di Teatro: Pierluigi Corallo, Luigi Distinto, Emanuele Fortunati, Francesco Guidi, Francesco Italiano, Tommaso Minniti, Enrico Petronio, Cristian Poggioni, Lorenzo Volpi

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
Collaborazione alla regia Marise Flach
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino

Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Concertazione e direzione d’orchestra Ion Marin
Coro della Civica Scuola di Musica di Milano
Maestro del Coro Alfonso Cariani
Consulente musicale Carlo de Incontrera

Milano, Teatro Giorgio Strehler, 10 marzo 1999

Così fan tutte è quindi in scena a Udine, Rouen, Peralada e Santander. In alcune recite il ruolo di Guglielmo è interpretato da Gabriele Ribis; quello di Despina da Adelina Scarabelli.

Nel 2000, dopo una replica a Wiesbaden – con la direzione d’orchestra di Enrique Mazzola –, lo spettacolo è a Tokyo con la seguente distribuzione:

Fiordiligi Fiorella Burato / Eteri Gvazava
Dorabella Terese Cullen / Gabriella Sborgi
Ferrando Jonas Kaufmann / Luigi Petroni
Guglielmo Nicolas Rivenq / Gabriele Ribis
Despina Janet Perry / Alla Simoni
Don Alfonso Alexander Malta
Servi, Suonatori Gianpaolo Corti, Danilo Fernandez, Francesco Italiano, Giulio Nerici, Michele Radice, Carlo Roncaglia, Annamaria Rossano, Debora Virello, Lorenzo Volpi

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
Collaborazione alla regia Marise Flach
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica

Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Concertazione e direzione d’orchestra Enrique Mazzola
Coro della Civica Scuola di Musica di Milano
Maestro del Coro Alfonso Cariani

Tokyo, Nissay Opera, 22 novembre 2000

2003

Fiordiligi Fiorella Burato / María Rey-Joly
Dorabella Terese Cullen / Francesca Provvisionato
Ferrando Mark Milhofer / Pavol Breslik
Guglielmo Markus Werba / Mario Cassi
Despina Janet Perry
Don Alfonso Alexander Malta
Servi, Suonatori Gianpaolo Corti, Danilo Fernandez, Francesco Italiano, Giulio Nerici, Michele Radice, Carlo Roncaglia, Annamaria Rossano, Debora Virello, Lorenzo Volpi

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestra e Coro del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste
Concertazione e direzione d’orchestra Paolo Olmi
Maestro del Coro Emanuela Di Pietro
Produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in coproduzione con il Teatro lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste

Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi, 20 novembre 2003

Lo spettacolo è ripreso a Gorizia, Lucca e Milano. In alcune recite il ruolo di Ferrando è interpretato da Stefano Ferrari; quello di Guglielmo da Nicolas Rivenq; quello di Don Alfonso da Francesco Facini.

2004-2005

Fiordiligi Eteri Gvazava / Eugenia Braynova
Dorabella Francesca Provvisionato / Angela Bonfitto
Ferrando Mark Milhofer / Andrea Giovannini
Guglielmo Nicolas Rivenq / Randal Turner
Despina Janet Perry
Don Alfonso Alexander Malta / Michele Govi
Servi, Suonatori Massimiliano Afferri, Fabrizio Fallacara, Luigi Mirco Guglielmo, Paolo Lorusso, Damiano Nirchio, Paolo Panaro, Gabriele Patruno, Saverio Peschechera, Carlo Quartataro

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Concertazione e direzione d’orchestra Arnold Bosman
Maestro del Coro Elio Orciulo
Produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in coproduzione con il Teatro Petruzzelli di Bari

Bari, Teatro Piccinni, 1° aprile 2004

Lo spettacolo è ripreso al Teatro Filarmonico di Verona – dove l’Orchestra dell’Arena è guidata da Gustav Kuhn –, Madrid, Istanbul, Roma, Bilbao, Pamplona, Alessandria d’Egitto e Il Cairo; in queste ultime due tappe in buca si trova l’Orchestra Sinfonica dell’Opera del Cairo, diretta da Giuseppe La Malfa.

Nel 2005 Così fan tutte è a Catanzaro, Mosca, Lione e Recanati.

In alcune recite il ruolo di Fiordiligi è interpretato da María Rey-Joly e da Fiorella Burato; quello di Dorabella da Terese Cullen; quello di Ferrando da Stefano Ferrari, Pavol Breslik, Salvatore Cordella e David Gagnon; quello di Guglielmo da Gabriele Ribis e Gianpiero Ruggeri; quello di Despina da Alla Simoni e Lorna Windsor; quello di Don Alfonso da Francesco Facini e Alfonso Echeverría; la direzione d’orchestra è affidata a Ivor Bolton e Giuseppe La Malfa.

2006

Fiordiligi Tamar Iveri
Dorabella Sophe Koch
Guglielmo Brett Polegato
Ferrando Tomislav Muzek
Despina Anne-Catherine Gillet
Don Alfonso Carlos Chausson

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
ripresa da Gianpaolo Corti
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestre nationale du Capitole
Direzione musicale Claus Peter Flor
Choeur du Capitole
Maestro del Coro Patrick Marie Aubert
Produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Toulouse, Théâtre du Capitole, 20 gennaio 2006

In febbraio Così fan tutte è in scena ad Atene, con la seguente distribuzione:

Fiordiligi Fiorella Burato / Eugenia Braynova
Dorabella Terese Cullen / Cristine Sogmaister
Despina Janet Perry / Alla Simoni
Guglielmo Nicolas Rivenq / Gabriele Ribis
Ferrando Mark Milhofer / Simon Edwards
Don Alfonso Alexander Malta / Francesco Facini

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
ripresa da Gianpaolo Corti
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestra e coro della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari
Direzione musicale Giuseppe La Malfa
Coro dell’Ente Artistico dell’Opera di Bari
Maestro del Coro Elio Orciuolo
Produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in coproduzione con Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari

Atene, Megaron Mousikis, 17 febbraio 2006

Lo spettacolo è quindi in scena a Pechino, San Pietroburgo e Mosca.

In alcune recite il ruolo di Fiordiligi è interpretato da Eteri Gvazava; quello di Despina da Lorna Windsor; quello di Guglielmo da Gianpiero Ruggeri; quello di Ferrando da Antonis Koroneos.

2007-2010

Fiordiligi Eleni Ioannidou / Sae Kyung Rim / Teresa Romano
Dorabella Natalia Gavrilan / Francesca Ruospo
Ferrando Leonardo Cortellazzi / Arthur Espiritu / Fabrizio Mercurio
Guglielmo Guido Loconsolo / Christian Senn
Despina Ye Won Joo / Irina Kapanadze / Nino Machaidze
Don Alfonso Simone Del Savio / Elia Fabbian / Nikoloz Lagvilava
Servi, Suonatori Emanuele Banchio, Ettore Colombo, Andrea Coppone, Paolo Garghentino, Fabrizio Martorelli, Luca Nucera, Eugenio Olivieri, Riccardo Ripani, Giuseppe Sartori

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
ripresa da Gianpaolo Corti
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestra e Coro Accademia Teatro alla Scala
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Christopher Franklin
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in coproduzione con Accademia Teatro alla Scala

Milano, Teatro Strehler, 11 dicembre 2007

Lo spettacolo è rappresentato nel 2008 a Brindisi e nel 2010 a Talca, in Cile.

2011

Fiordiligi Sofia Soloviy
Dorabella Marina Comparato
Ferrando Nicola Ulivieri
Guglielmo Edgardo Rocha
Despina Marilena Laurenza
Don Alfonso Giulio Mastrototaro

Uno spettacolo di Giorgio Strehler

Regia di Carlo Battistoni
ripresa da Gianpaolo Corti
Scene di Ezio Frigerio
Costumi di Franca Squarciapino
Luci Gerardo Modica
Collaborazione alla regia Marise Flach

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Jonathan Webb
Maestro del Coro Salvatore Caputo

Napoli, Teatro di San Carlo, 8 aprile 2011

Strehler ne parla

I primi appunti

La scena rappresenta un “teatro” che è un eterno “teatro della vita”. Non è rigido. Può, a volte, palpitare un poco.

C’è una possibile trasparenza generale. Senza fantasmi. I personaggi possono vedersi anche “attraverso” qualcosa.

Non pareti, non stanze con porte e così via. Uno spazio teatrale limpido e vuoto con…?

Dietro, si vedono talvolta alberi, moli, barche, mare con un poco di vento che increspa l’acqua blu, verso sera. E letti di ferro che sono sempre lì o in azione o nell’ombra o quasi in quinta.

I letti sono “alla napoletana” con copriletto bianco, cuscini, tutto talvolta sfatto. I letti, magari, hanno i “santini” sulle spalliere. Due armadi “all’italiana” con roba su e rami d’olivo secchi. Devono dare una sensazione di intimità erotica, sono usati, lenzuola usate e roba buttata lì per terra, un poco di disordine.

E ci sono anche “divani alla turca” e sgabelli turcheschi (vedi Liotard)? Perché? Non lo so.

I tavolini del caffè, per la prima scena, sono col piano di marmo, bicchieri d’acqua gelata, caraffa di limonata e molte caffettiere “alla napoletana” con tazzine, piattini e cucchiaini. Le “napoletane” sono fumanti.

Sedie per un “inventato” caffè napoletano. Tutto un poco usato, tutto un po’ sgangherato. Tutto un po’ sporco. Una scopa con immondizia e polvere in un angolo.

Forse c’è un biliardino piccolo e incrostato di madreperla con palle e stecche.

Una “napoletana” si rovescia durante la lite, il caffè fumante si sparge- piattini e tazze si rompono, due sedie si rovesciano.

Anche divani, non turchi, per la casa delle donne.

Ma “gli ufficiali” turcheschi, albanesi o altro, portano e fanno portare, all’inizio, regali d’Oriente: stoffe, tappeti, narghilè, incensieri che spargono vapori e profumi. La scena in qualche punto è immersa nel vapore. Le donne aspirano i profumi e vacillano un poco.

Ci sono o ci saranno anche alcune vesti, vestaglie, cappelli, turbanti femminili, pantofole turchesche. (Vedi Liotard, sempre).

E zoccoli altissimi per il “bagno turco”.

Quando le donne li provano, ridono.

Inversione dei trucchi: i due “uffiziali” portano eleganti baffi e barbe “alla militare”. Non comici, ma certo “rigidi”, composti con uniforme, spada, tricorni ecc.

I due “albanesi” non hanno né mustacchi né barbe. Sono glabri. Molto belli, e giovani. Molto truccati “all’orientale”: occhi con blu, sopracciglia, ciglia lunghe, labbra un poco rosse. Turbanti o copricapi eleganti, scarpe “alla turca” o stivaletti. Vesti ricche e morbide. Pettinature con capelli lunghi e ondulati.

Sono molto “strani”, molto “piacevoli”, quasi un po’ femminili ma virilissimi nelle azioni, che però sono sempre delicate, appassionate e “diverse” da quelle degli “uffiziali”.

Sono giovani, quasi “ragazzi” di un altro mondo. Affascinanti, ambigui e misteriosi.

Le due donne si trovano con loro “in un altro mondo”. Raffinato e sconosciuto.

Così fan tutte è un’opera erotica.

Così fan tutte è un’opera “didascalica”. Dal titolo ai nomi, dalla simmetria della trama e dei personaggi, dallo svolgimento del tema, dalla prima frase pronunciata: «La mia Dorabella / capace non è: / fedel quanto bella / il cielo la fé».

Tutto è una “dimostrazione”. Ovviamente camuffata dall’arte, ma non troppo. E tutta giocata con un “finto comico”. In realtà è tragica. (Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin).

[…] La direzione deve essere ambigua come l’opera: ma fa sul serio o no? Ma è una caricatura, questa aria dell’“opera seria”, o no? È “seria” questa aria di Fiordiligi (cioè sente veramente quello che canta e dice), o invece non lo è? E tutto questo senza parere. Lasciando sempre il dubbio.

La spaventosa difficoltà di Così, per gli interpreti, è di essere seri, veri tragici, nello stesso tempo che comici, falsi e ridicoli.

[…] Domanda: le due donne capiscono o finiscono per capire che i due “albanesi” sono i loro due amanti “uffiziali” e se li scambiano proprio per questo? Così gli uomini che si cambiano le donne? Quando lo sanno? O mai? O è sottinteso, come credo. Ciò è impossibile da rappresentare.

In realtà la storia semplice (!) potrebbe essere questa: due coppie vogliono scambiarsi, le donne vogliono avere gli uomini dell’altra, lo stesso gli uomini per le donne. Voglio avere l’amante dell’altra o dell’altro. Ma ci sono le convenienze non solo sociali, ma anche interiori: certe cose non si fanno. Allora inventano, quasi inconsciamente, sospinti da un “cinico quinto” che in nulla crede più, forse neanche nella vita, il modo per farlo “senza colpa”, come un gioco. È tutto, in fondo, un trucco. Ma quando l’una va a letto con l’altro, il “tradito”, che a sua volta tradisce il “traditore”, soffre. E inversamente.

Alla fine il gioco è svelato. Con un altro trucco. Non spiegato, potrebbe anche non esserlo. I due uffiziali ritornano con barba e baffi e tricorno e uniforme. […]

Alla fine i protagonisti si allontanano verso il fondo, tenendosi per mano e voltandosi, col viso, verso il pubblico, ogni tanto. Sorridono, ma sono un po’ tristi e un po’ no. Scuotono le teste. Si dicono e dicono al pubblico: cosa volete-vogliamo farci. È così. Tutto è così, non loro, anche noi attori, anche voi pubblico. E forse uno perde un baffo, a un altro si stacca un poco la barba. Si sorridono e una donna perde i poveri pezzi del trucco e gioca con essi mentre scende il buio e si abbracciano nel fondo e spariscono.

[…] L’opera deve esalare erotismo e sesso, senza parere. Letti, ascelle, corsetti, capelli sfatti e forcine, pettini e petti virili degli “albanesi”, labbra e lingua, mani e abbracci furtivi ed espliciti. Profumi e odori. Oriente e Napoli italica.

Dagli appunti manoscritti e dattiloscritti, Archivio Piccolo Teatro di Milano

Non lasciatemi solo!

Caro Ezio (e attraverso di te a tutti quelli che vuoi).

[…] Il punto fondamentale è che non vi ho fatto vedere lo spettacolo nel suo insieme. Un poco perché non lo so bene nemmeno io, ma soprattutto perché è uno spettacolo che “si fa insieme”, con le cose, i suoni, le luci, il canto, la musica, la storia.

In me è maturissimo e nello stesso tempo incerto, come una intuizione non realizzata.

Tenterò di raccontartelo e ci saranno cose di cui non hai ancora sentito parlare. Devi starmi vicino Ezio, Franca, tutti! Non lasciatemi solo!

 

Dalle note di regia indirizzate a Ezio Frigerio e datate 4 dicembre 1997, Archivio Piccolo Teatro di Milano

L’inizio delle prove

Senza clamore, senza mondanità, semplicemente con uno straordinario raccoglimento, abbiamo incominciato le prove di Così fan tutte di W. A. Mozart.

Il Teatro risuona ovunque della musica e dello spirito di chi stiamo cercando di interpretare. Stanze vuote, spazi freddi e non finiti, corridoi dove quasi non passa mai nessuno sono percorsi ora da suoni meravigliosi, voci di umani e di strumenti che hanno finalmente una vita, trovano, anche se incompleti, una ragione morale per esistere.

Ci siamo, come dire?, barricati sui ponti di questa nave più caldi e più completi, e lì passiamo le nostre ore di lavoro con uno slancio, un amore rinnovato. Coloro che interpretano questo capolavoro dell’umano spirito sono tutti giovani; giovani cantanti, giovani musicisti, giovani collaboratori musicali, giovane direttore d’orchestra. E noi, i vecchi storici del Piccolo, ma non preistorici, continuiamo la nostra missione nel cuore di un progetto nuovo, unico in questo mondo dello spettacolo che indica aumenti di pubblico – come non compiacercene? – ma non garantisce qualità, progettualità, ricerca e idee.

Noi, da due anni ci battiamo per un “cambiamento” di mentalità, offrendo proposte per un nuovo modo di intendere il Teatro Pubblico, un diverso rapporto con la collettività per un vero “teatro” d’arte. Così fan tutte di Mozart aprirà un Nuovo Piccolo Teatro che si lega, senza caparbietà, al vecchio Piccolo Teatro. Non è senza senso che solo un corridoio unisca già due Teatri vicini fisicamente e spiritualmente, dove, in uno l’avvenimento teatrale è per molti e cerca di essere il più completo esteticamente, e nell’altro crescono gli attori di domani, e si dà una casa, uno spazio e dei teatranti, a coloro che chiedono percorsi diversi.

Mozart nasce in mezzo ai giovani e l’atmosfera intorno a questo lavoro non è “multimediatica” con trombe e tamburi, ma è parca, a bassa voce, in cui si sussurrano e si cantano parole d’amore.

Sono il più giovane dei patriarchi, dicevano in Francia, e parlo con una lunga esperienza, ma trovo ben pochi paragoni nel passato, per quello che sta avvenendo, oggi, in tante sale sparse che si rimandano i suoni senza disturbarsi a vicenda. Io sto vivendo, stiamo vivendo una esperienza tenerissima, anche se piena di severità concettuale, di rigore, di responsabilità.

È la gioia, ecco, che pervade il nostro lavoro come non mai. Gioia di essere insieme, gioia di unire freschezza a sapienza, teatro e musica, sul filo di ciò che Mozart ci ha dato.

Io credo che alcuni geni universali lascino nelle loro opere un carico enorme di energia, di bontà, di felicità anche nel dolore, e che queste si comunichino al di là dei secoli ai loro interpreti, se essi aprono il loro cuore liberamente, con abbandono. E così questa opera in musica, che è più di un’opera in musica, nasce in una “felicità spirituale” quasi incredibile.

Stiamo lavorando, sì, ma non è solo lavoro: stiamo compiendo immensi atti d’amore, e l’amore deve dare felicità.

Siamo serenamente felici, sicuri che daremo qualcosa di nuovo, di bello e di buono ai nostri futuri spettatori.

Ecco un senso di un Nuovo Teatro d’Arte: la felicità di sentirsi umani. L’Arte contro il disumano e il male e tutto ciò che di basso a ogni ora ci circonda.

Dattiloscritto senza data, Archivio Piccolo Teatro di Milano

Diario di lavoro: un’opera erotica, piena di desiderio

Vi vedo per la prima volta tutti insieme; mi sembrate molto disciplinati, molto seri, però già intuisco che fra di voi ci siano dei rapporti fraterni, che sia possibile creare un gruppo. Un gruppo, non prima e seconda compagnia. Semplicemente, necessariamente, prima canteranno alcuni di voi e poi gli altri. L’importante è sapere che ognuno, pur con la sua individualità, è intercambiabile, deve sapere fare le stesse cose. Perché l’idea che sta sotto quel sorriso, quel gesto è identica. Prima di cominciare le prove con voi ho accarezzato per un momento il sogno che voi non aveste mai né cantato né visto Così fan tutte. Che la vostra “prima volta” fosse proprio con questo vecchio signore che ha in mente un Così fan tutte molto diverso dal solito, per certi aspetti rivoluzionario.

Vi dico subito che non sarà facile farlo, ma che non dovete avere paura. Occorre essere freschi, spontanei, felici, avere dentro la voglia di giocare, ma anche essere sereni, questo sì, perché quest’opera è così cara al mio cuore e mi sembra così grande. È così grande quello che ha fatto il genio di Mozart sul libretto di Da Ponte, un simpatico avventuriero che però sapeva molto sulla vita e sull’amore, sulla loro vanità. E ha scritto quest’opera pensandola come un “giochetto”, da vecchio libertino. E invece… ecco la grandissima musica di Mozart, anche se nella trilogia che comprende Don Giovanni, Le nozze di Figaro, accade che Così fan tutte sia spesso considerata un’operina. E invece è solo l’ultima della trilogia delle passioni: Le nozze di Figaro, sulla variabilità dell’amore; Don Giovanni: la tragicità delle passioni e delle non passioni in contatto continuo. E poi, ecco Così fan tutte: un “giochetto”? Ma no, un’opera meravigliosa, piena di musica semplice, naturale. Anch’io vi chiederò semplicità, naturalezza, che è la cosa fondamentale in tutte le arti… meno si appare e più si è grandi… anche se non è una storia realistica, sembra che nascesse da una vicenda accaduta a Trieste, di cui avevano parlato le gazzette dell’epoca. Così fan tutte è vero teatro musicale, nel senso che attraverso la musica Mozart “vedeva” l’azione, ne suggeriva gli sviluppi in una concatenazione perfetta, ma semplice. In ogni gesto noi dovremo ribadire tutto questo e saremo molto aiutati se seguiremo la verità della sua musica. Quello che dobbiamo fare tutti noi comporta delle enormi difficoltà stilistiche perché ci troviamo di fronte a un’opera oscillante, misteriosa. Come i sentimenti: le due sorelle di Ferrara, Dorabella e Fiordiligi, amano o forse no. I due ufficialetti eleganti, nella loro bella divisa candida, amano o forse no. O forse sì. È vero o è falso quello che succede? È impossibile, direte voi, a meno che non lo si veda come una parabola… Ma, ragazzi, ve lo ripeto ancora: o ce la facciamo a mettere in luce il lato sconosciuto di quest’opera assolutamente ambigua dove l’incerto, il vero, il falso, la passione, da gioco possono diventare veri o il contrario, oppure è meglio rinunciare.

Dunque, abbiamo queste due ragazze e questi due ufficiali che poi si trasformeranno in albanesi, valacchi, turchi, non importa cosa; quello che importa è che sono esotici, che sono “altri”. Alle due ragazze piacciono, perché sono divertenti, sono meno formali e le donne – si sa – guardano al sodo. Il Guglielmo finto è meglio di quello vero; il Ferrando albanese è più eccitante… Prima sono due giovanotti ingenui, con qualche difficoltà. Improvvisamente un vecchiaccio che la sa lunga, don Alfonso, gli dice: «Attenzione ragazzi, che le donne sono tutte uguali, tutte pronte a tradire, se occorre». Loro no, loro credono che l’amore sia eterno, che non si tradisce. Anche noi quando eravamo giovani l’abbiamo pensato. Poi ci siamo accorti che la vita è più complessa… soffrendo come cani, magari.

Ecco, all’inizio, siamo in un caffè. C’è questo signore che la sa lunga, un po’ smagato, un po’ corruttore, un po’ intellettuale, un signore dei lumi, scettico e scalcagnato che beve caffè, legge giornali, e dà lezioni di erotismo perché è un libertino. Ragazzi, dovete mettervelo bene in testa: questa è un’opera erotica, piena di desiderio e di sesso. Non è una storia edificante di ragazzine e ragazzini un po’ stupidi: è la storia di persone che si amano, che si desiderano, che desiderano scambiarsi, come succede nella vita. Così fan tutte? Ma no, così fan tutti, piuttosto. Mica è un’opera contro le donne: figurarsi Mozart e Da Ponte. No, qui tutti si desiderano, tutti tradiscono, tutti mentono… Il pubblico capisce subito che quei personaggi si comportano come succede anche a noi. E allora… perdoniamoci, perché tutti siamo capaci di sbagliare… un po’ di pietà e di bontà uno per l’altro, perché non solo noi personaggi, non solo noi che cantiamo, non solo noi che facciamo il teatro, ma anche quelli che ci ascoltano e ci vedono possono sbagliarsi…

Adesso mi guardate così come se dicessi chissà cosa; ma quando sarete più maturi vi ricorderete di quello che vi ha detto questo vecchio signore, di quello che vi ha chiesto. Ragazzi, la vita è questo. Tutto è in movimento nella vita, niente è fermo, inerte, freddo. La coppia è un fatto provvisorio, può sempre rompersi e rovesciarsi. Le passioni non sono mai definitive, ma momentanee. L’eros è sempre al di là delle convenienze. Se ci sono convenienze si superano con trucchi, commedie, finzioni teatrali, scuse o altro. Ma bisogna avere comprensione, perché tutti siamo pieni di colpe. Voi mi direte… ma noi no, noi siamo diversi. Ma no, magari non l’avete ancora fatto, ma lo farete perché siamo fragili… Mozart ci raccomanda di non farne una tragedia; bisogna tenere presente che la realtà della vita è complessa e terribile. A Mozart piacevano le ragazze; ma sapeva che anche Costanza non se ne stava quieta ad aspettarlo e con indulgenza le scriveva: «Comportati con discrezione ai bagni di Baden Baden…».

Un uomo che conosceva il bene e il male e che con un sorriso ironico e perfino un po’ cattivo, ma anche con una certa pietà, ci diceva che l’uomo e la donna sono esseri ben fragili… Pensate a Così fan tutte: quando le coppie si sono scompaginate, quando c’è stato l’inganno, quando c’è stato il tradimento, ecco le due ragazze dire: «Perdono, perdono non lo faremo più…» Sarà vero? Non importa, non prendiamocela tanto. Ragioniamoci su, si può cambiare umore e comportamento con rapidità e dove c’era da piangere si può ridere… In Cosi fan tutte c’è tanto sorriso – dolce, farsesco – ma c’è anche, alla fine, pietà per noi povere marionette che recitiamo con relativa sincerità l’amore. Alla fine ci si scambia sempre le parti.

Questo gioco, che è proprio della vita umana, Mozart l’ha colto e messo in una luce crudele, ridicola e pietosa al tempo stesso. «Che povere e ridicole cose siamo noi umani quando amiamo».

Diario di lavoro. Appunti dalle prove di Giorgio Strehler 12-23 dicembre 1997, a cura di Maria Grazia Gregori, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Diario di lavoro: i personaggi e la scena

Le due sorelle

Dorabella è più carnale, Fiordiligi potrebbe essere più tenera, più romantica. Alcuni registi le hanno fatte quasi uguali per fare capire che sono due sorelle. Una sciocchezza. Per me, Fiordiligi è mora e Dorabella è bionda o comunque più chiara. Sarete un po’ nude, fa tanto caldo a Napoli, è piacevole. Un po’ di seno fuori, le ascelle che si intravedono, come le gambe, le mutandine, magari. Mutandine del Settecento certo, ma pur sempre mutandine.

La platea deve capire che certo vi volete bene, che certo siete sorelle, ma che siete diverse. E se Fiordiligi sogna, almeno all’inizio, l’amore romantico, Dorabella non fa mistero del suo eros. È più disponibile a divertirsi. Certo non va con tutti, ma si pone meno problemi. Fiordiligi no, lei ha un vero dramma quando si sente attratta dagli albanesi e la musica ce lo fa capire. «Posso tradire il mio amore oppure no? Posso amare due uomini nello stesso tempo?» si chiede. Dorabella no, è più libera, più allegra, più scopertamente sensuale. Le due ragazze non sono quasi mai vestite eleganti. Sono quasi sempre in sottoveste, con corsetti sensuali, capelli non completamente pettinati, che spesso pettinano. Braccia nude, ascelle erotiche. Hanno vestaglie comode e morbide che si legano facilmente e “diventano” vestiti. Stanno a piedi nudi o portano pianelle italiche con tacco o senza. Solo una volta indossano zoccoli alti da bagno turco, per ridere una dell’altra. Hanno ventagli. Quando sono sole sono libere, quasi poeticamente nude. Quando stanno con i loro amanti albanesi portano anche loro qualche cosa di esotico, ma possono levarsi in fretta la sopravveste quando ritornano i loro innamorati e restano molto scoperte, un po’ nude sotto.

 

Ferrando e Guglielmo

Anche loro non sono uguali. Sono simili solo nell’essere storditi, sono tanto giovani e inesperti e si trovano presto invischiati in un gioco pericoloso. Forse Ferrando è più sensibile, canta l’amore. Ci crede, ci spera. Crede nella dolcezza e nella fedeltà, lui! Ma in astratto. Quell’avventura, che con un po’ di leggerezza e spinti da don Alfonso hanno messo in moto, non si può fermare.

C’è una scommessa, anche, di mezzo. Guglielmo si innamorerà davvero di Dorabella, faranno davvero l’amore in una barca e lei si alzerà tutta stordita. Tutti e quattro hanno voglia di peccato. Un essere nuovo da amare, un bel ragazzo, una bella ragazza nuovi… Quando si travestono da albanesi, non sono dei clown, non sono comici a tutti i costi. Sono due bei ragazzi vestiti da orientali e una donna può ben innamorarsi di un bel ragazzo così. Ricordatevi sempre: credibilità. Eccome, se ci si può innamorare. I due ufficialini sono così formali, così per bene. Qui invece tutto è più esotico, c’è molto sud, molto caldo, poco formalismo.

Nella scena finale i due ufficiali italiani corrono dentro la stanza in cui sono nascosti i vestiti esotici, con le spade in mano. Naturalmente non trovano nessuno… Ma uscendo fanno uno scherzo alle donne: fanno credere che stanno spingendo fuori di spalle i due amanti albanesi, si vedono le loro vesti… poi le lasciano cadere e restano solo loro. Le due ragazze all’inizio sono terrorizzate. Ma allora?

 

Despina

Per me è un personaggio difficilissimo. Convenzionale in un certo senso (viene dalla Commedia dell’Arte), messa lì per confondere e far procedere il gioco della vita che assomiglia perfettamente al mondo finto della Commedia dell’Arte. È finta come cameriera, come dottore, come notaio. È una maschera, ma nella tradizione non esistono maschere così. Smeraldina e Colombina sono un’altra cosa. E allora? Come appare? Forse è l’unico personaggio “maturo” […].

Don Alfonso

Don Alfonso è come il Restif de la Bretonne che ho visto fare a Jean-Louis Barrault. Una specie di Casanova in disarmo con le scarpe scalcagnate, sporche. Vizioso e anche laido, ma intelligente. È un godereccio burlone, disincantato. Lui sa come va la vita. Funge da regista voyeur, spesso sta alla ribalta di schiena, seduto su di una sedia o da parte, di lato.

 

Qualche problema

La luce è estiva, sempre. Ma morbida. Fa caldo. Penombra di persiane chiuse. Fuori c’è molta luce che filtra in scena da invisibili finestre. La persiana invisibile, se non come traccia di luce a terra o su di un personaggio, immaginandola appena appena alzata, è la chiave che darò per le luci.

Il tramonto per l’addio dei soldati. Mare azzurro verso notte, che tremola. Vero/non vero. Notte fantastica per la festa della seduzione, con lumi o fiaccole: una festa all’italiana. Che non ci sia anche una mezzaluna lassù? Molto alta, molto lontana. E alberi, mare blu, con un po’ di vento che fa increspare l’acqua verso sera.

Letti di ferro, alla “napoletana” magari con santini, con copriletto bianco, che devono dare una sensazione erotica, lenzuola usate, roba buttata per terra, in disordine. I mobili devono essere fragili, come visti in filigrana. Per questo mi pare che le sedie tipo canna, tipo bambù siano l’indicazione giusta. Anche le due dormeuses, la panca sul davanti: tutto lieve, anche se concreto, che si può portare via senza problemi, con cambi veloci… gioco di bambini grandi.

 

Diario di lavoro. Appunti dalle prove di Giorgio Strehler 12-23 dicembre 1997, a cura di Maria Grazia Gregori, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Diario di lavoro: il primo atto

Lo spettacolo che voglio fare con voi

Dunque: nella sala illuminata dolcemente, con gli ottoni che brillano con una luce quieta, di attesa, un grande boccascena un po’ trasparente e un po’ no, un sipario che brilla dietro al quale si intravvede qualcosa. Un golfo mistico, rosso e oro, con i leggii pronti e gli spartiti aperti, aspetta. Cominciano ad apparire, da destra e da sinistra, ma anche dal centro, con calma, a gruppi, signori in frac, signore in abito da sera, tutti giovani, per fare musica. La luce si abbassa adagio mentre i giovani accordano gli strumenti, l’orchestra si fa viva. Poi buio in sala ed entra un giovane solo, va al centro, apre lo spartito, si inchina serio, ma non severo. Silenzio. A un suo gesto comincia l’ouverture di Così fan tutte di Wolfgang Amadeus Mozart. Ecco che il sipario comincia a palpitare e ad alzarsi verso l’alto, sparendo. Come nel vento. Appare la scena. Tre tavoli, tre sedie, tre personaggi. Due “uffiziali”, come dice il libretto, e un signore “vecchio” e un po’ strano che legge gazzette, beve caffè. Il suo tavolo è pieno di libri, carte, giornali. Sullo sfondo l’immagine del Teatro San Carlo di Napoli. È il caffè del teatro? Forse. Si incomincia: si canta, si parla, si scommette. Alla fine i tre escono dal centro del palco, il vecchio signore che parla e ride, davanti a tutti. Subito dopo sale verso l’alto l’immagine del Grande Teatro San Carlo e appare un palcoscenico buio. Qua e là due o tre ceste, pochi coristi, comparse aspettano. Sono vestiti da soldati, giovani, donne, qualche turco, due pascià in turbante. Il vecchio saluta e indica, ridendo, la gente agli ufficiali, tira via un turbante a un corista, per metterlo in testa a un ufficiale al posto del tricorno militare.

Ecco che davanti scende un fondale brillante e mosso. Due muri bianchi con portali delimitano lo spazio, mentre tre giovani portano via rapidamente tavoli, sedie e altri posano due agrippine, una panca al centro. Entrano due donne giovani, una chiara di capelli, l’altra scura, una si siede di lato sulla dormeuse, con la testa sulle ginocchia dell’altra. Guardano i medaglioni che portano al collo, mostrandoli l’una all’altra con i ritratti dei loro amanti. Aspettano i loro amori, che non arrivano. Arriva invece un vecchio signore che spasima, piange e si chiama don Alfonso. Terribili notizie! Gli amanti di Dorabella e di Fiordiligi non verranno: devono partire per la guerra. Ma poi i due arrivano, tristissimi, vacillanti per il commiato, con scene di strazio e di amore. Suona un tamburo militare, si sente una marcia e poi un coro di soldati e di donne. La scena si apre, si alzano i veli, le due giovani si mettono i capellini di paglia e le scarpine, prendono i due ombrellini e tirano fuori fazzoletti per le lacrime. Gli addii vanno fatti ben vestiti!

Sul fondo appare la barca con i soldati che devono partire, si fa festa. Dorabella e Fiordiligi non vogliono abbandonare Guglielmo e Ferrando. Nel tramonto i soldati e gli ufficiali partono. Addio, addio amore mio! Invece corrono a travestirsi per ingannare e tentare le loro donne.

Mentre scende la sera le due sorelle e don Alfonso cantano sulla riva del mare un augurio di buon ritorno. Grande malinconia. Invece il vecchio ride, malvagio, cinico e anche un po’ laido. Legge da un libro che trae fuori dalla tasca alcune strofe di un poeta, che parla della disonestà di ogni cuore di femmina. È contento per come va il mondo.

Rapidissimo cambio di scena. Si ricrea lo spazio con le due dormeuses, la panca, ecc. Despina, donna tuttofare ancora piacente, prepara la colazione per le due sorelle. Che maledizione essere cameriera e lavorare tutto il giorno per quelle che non lavorano mai! Eccole arrivare, finalmente, le due, in lacrime, mettendo tutto sossopra, come in una tragedia. Despina le rincuora: sono partiti i due amanti? Ma se ne trovano cento altri. Cantano e ballano e la malinconia se ne va. C’è penombra, perchè Dorabella ha ordinato di chiudere tutto e di fare buio per marcare la tristezza.

Arriva il vecchio e chiede che cosa è successo. Poi chiama Despina che racconta tutto. Don Alfonso la paga e le racconta che due albanesi ricchissimi e belli si sono innamorati delle sue padrone. Se lo aiuta, ci sono soldi. Ma dove sono e, soprattutto, come sono questi albanesi? Bellissimi e stanno già di là. Don Alfonso propone di farli entrare. Arrivano i due nuovi innamorati con servi, profumi, regali, tappeti. Sono giovani, senza barba e sono velati, almeno all’inizio. Si inginocchiano davanti a Despina e cantano il loro amore. Ma come, si sono sbagliati? No, giocano solo a fare gli orientali pazzi d’amore. Gli cade il velo dal viso, ma Despina non sembra riconoscerli. Neppure Dorabella e Fiordiligi li riconoscono: come osano entrare così in casa di due ragazze per bene? Don Alfonso dice che sono figli di amici, ma le ragazze non gli danno retta. I due innamorati sono contenti: le loro ragazze sono fedeli!

Ma ecco pronta un’altra trappola: i due innamorati fingeranno di suicidarsi sotto gli occhi delle due donne. La scena cambia. Appare un giardino sul mare. Non è ancora notte. Le ragazze cantano l’amore guardando la notte che arriva. Non sono felici, ma turbate. Improvvisamente si sentono le grida dei due albanesi che vogliono uccidersi con due boccette d’arsenico e cadono in agonia al suolo. Don Alfonso consiglia le due sorelle, sconvolte, di chiamare un medico. Anzi, ci penserà lui. Le due ragazze si avvicinano, prendono sulle loro ginocchia le teste dei due ragazzi: come sono carini, giovani… e poi hanno tentato di morire per amore. Potranno salvarsi? Ecco qui il dottore che ci penserà (ma è Despina travestita). I due “resuscitano” sotto le sue cure e il loro primo gesto è quello di abbracciare le ginocchia delle ragazze, di baciare loro le mani. Ma perché solo quelle? Dateci la bocca! E fanno per baciarle. Le due sorelle li respingono.

È quasi notte e Dorabella e Fiordiligi cantano il loro amore per gli sposi; Guglielmo e Ferrando sono un po’ preoccupati per tanta eccessiva dedizione. Don Alfonso e Despina decidono di tentare ancora qualcosa. È il sestetto che chiude il primo atto. Un sestetto d’attesa e d’amore. Il sipario, come un presagio, cala nel vento.

 

Diario di lavoro. Appunti dalle prove di Giorgio Strehler 12-23 dicembre 1997, a cura di Maria Grazia Gregori, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Diario di lavoro: il secondo atto

All’inizio del secondo atto, il sipario si alza sulla casa delle due ragazze. È notte e ci sono i letti sfatti, gran disordine. Le due sorelle in camicia da notte, spettinate, inquiete, ascoltano Despina che canta un’aria cinica, viziosa su come una donna deve stare al mondo. Più amanti ha, meglio è. Alla luce delle candele, nei loro letti, le due sorelle sono sconvolte. Despina avrà ragione? Gli uomini tradiscono sempre? E allora? Allora ci si può divertire, basta che nessuno lo sappia. Le due sorelle si dividono gli amanti: una sceglie il bruno, l’altra il biondo, invertendo le coppie di prima.

Arriva don Alfonso: i due albanesi hanno organizzato una festa con serenata al mare. Mentre le ragazze si vestono di corsa, la scena cambia a vista attorno a loro. Sale il velo scintillante e in lontananza appare una barca illuminata con suonatori. In cielo c’è una bella mezzaluna. Ci sono anche Gugliemo e Ferrando travestiti e ragazze e ragazzi turchi che portano alle due sorelle abiti di foggia orientale da indossare. I due albanesi cantano una serenata, gli altri si allontanano e restano solo i sei. Che fare? Despina e don Alfonso insegnano agli uomini e alle donne come ci si deve comportare. Adesso arrangiatevi, dicono. I quattro restano soli e, mentre Fiordiligi e Ferrando se ne vanno a passeggiare, fra Dorabella e Guglielmo scoppia una scena di autentica passione e spariscono nella barca. Tutto vero o tutto finzione?

Intanto Ferrando dichiara la sua passione a Fiordiligi, che sente attrazione per lui, ma si controlla. Come fare ad amare un altro uomo? Canta il suo dramma Fiordiligi e intanto alle sue spalle Dorabella esce dalla barca trascinando un brandello del suo vestito, ebbra.

Siamo di nuovo nella casa delle due ragazze. Ci sono dei paraventi con specchi. Despina si congratula con Dorabella, poi entra Fiordiligi, in pieno dramma: anche lei ama! Decide di travestirsi da uomo per andare al campo a cercare Guglielmo. Si è appena travestita che ecco arriva in scena Ferrando. Fiordiligi si difende, ma alla fine cede: «Fai di me quello che vuoi». Buio. Luce di colpo. Non visto Guglielmo ha assistito a quest’incontro. Amaramente i due cantano sugli scherzi della vita. Ma don Alfonso smorza il dramma: siete pari. Le due ragazze, dice Despina, sembrano ormai intenzionate a sposarsi con gli albanesi. Bisogna portare fino in fondo l’inganno.

Vuoto con solo un gran tavolo, entra il coro portando i candelabri, entrano le schiave con una grande tovaglia, cuscini, piatti, posate. I quattro si siedono alla turca con il bordo della tovaglia tirato su fino al mento. Sembra quasi un gigantesco letto. Entra Despina travestita da notaio, legge il contratto, ma ecco un gran rumore. Don Alfonso va a vedere e dice che sono tornati i soldati. Le due ragazze gridano, cercando di nascondere tutto, compresi gli innamorati che nascondono dietro un velario. Lì dietro i due albanesi cambiano abito e riappaiono vestiti da ufficiali. Le due donne sono agitatissime: «Come mai?» chiedono. È l’emozione di rivedervi, dicono loro. Ma cos’è quella pergamena per terra? È il contratto nuziale. Minacce di morte, di giustizia sommaria da parte dei due ufficiali. Cercano i due albanesi ma ritornano solo con pochi abiti, copricapi, finti baffi. E si rivelano alla due innamorate che, in ginocchio, piangendo, chiedono pietà. Sono gli altri che le hanno fatte sbagliare. Tutto è ormai chiaro. Meglio perdonarsi, perché la vita è così e tutti cantano che non bisogna mai prendere nulla sul serio. Tanto vale ridere. Così siam tutti!

Ecco che, da un baule militare portato lì da due attendenti, appare Despina che si strucca e si sveste dell’abito di notaio. Ecco l’ombra del Vesuvio che appare… scende il sipario pieno di vento, si muove anche il fondale dove scompaiono le figurine dei protagonisti… Per sempre.

 

Diario di lavoro. Appunti dalle prove di Giorgio Strehler 12-23 dicembre 1997, a cura di Maria Grazia Gregori, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

L’ultima prova

Siamo qui per salutarci e farci gli auguri. Ma voglio ringraziarvi anche per il vostro calore, per il vostro entusiasmo che ho sentito attorno a me, per la vostra disciplina, sempre forte. Insieme stiamo tentando di fare una cosa difficile, ma sono certo che ce la faremo. Abbiamo lavorato concentrati, lontani da ogni mondanità, dedicandoci solo a Mozart, in un Teatro Nuovo che alzerà per la prima volta il sipario in suo nome. Vi sono immensamente grato di questo.

Gli auguri che ci facciamo sono un po’ diversi dal solito: il Piccolo non chiude, durante le vacanze, ma lavora. C’è qualcosa di nuovo che ci aspetta. Non c’è modo migliore per festeggiare il Natale, l’Anno nuovo che verrà, gli impegni che ci aspettano e che guardo senza nascondermi le difficoltà ma con serenità, grazie al vostro affetto. Buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie.

Oggi proviamo l’ultima scena di Così fan tutte. Mi dicono: «Ma come, dottore, proprio lei che non lo fa mai fino all’ultimo, prova il finale? Ma allora lo spettacolo, dopo dieci giorni è già fatto»… Lasciamoli parlare. Quello che voglio dirvi è che questa scena non possiamo buttarla via. Le due sorelle stanno sedute attorno al tavolo un po’ vestite da turche, con i due albanesi. Sono tutte prese dal gioco che c’è fra loro e i due cavalieri stranieri, che è anche un gioco erotico: ci si tocca sotto il tavolo, ci si riconosce… «Bevi bevi, tocca tocca». Ma con leggerezza, mi raccomando. Ecco, questo strano gioco un po’ da Commedia dell’Arte comincia. I quattro quasi spariscono dentro la tovaglia che ricopre il tavolo. Ecco che appare un notaio che non è altri che quella matricolata di Despina d’accordo con quell’altro simpatico mascalzone che è don Alfonso, il quale, però, si è ben guardato dal dirle che i due albanesi, in realtà, sono Ferrando e Guglielmo. Improvvisamente, mentre sono lì a leggere le carte, ecco un rumore. Cosa sarà mai? Sono loro, i soldati che ritornano. Panico, ma Dorabella e Fiordiligi non si perdono d’animo. Fanno come tutte le donne: nascondono. Ecco, spingete i vostri amanti dietro il velario come se fosse un armadio, così (fa vedere come). Per il resto, niente paura: un calcetto con la scarpina così (compie l’azione), per nascondere in qualche modo il contratto di matrimonio, i vestiti alla turca, sbattuti qua e là. Viene fuori il vestitino di sempre: non è successo niente, tutto si è fermato come al momento della partenza dei due innamorati… rifacciamo tutto.

Attenti. I gesti devono essere veri, naturali, non plateali, veloci. Leggeri. Ma avete una certa ansia: «Oddio, oddio i nostri innamorati sono tornati e noi stavamo qui con gli altri… via tutto, via tutto, facciamo sparire tutto, non è stato niente, niente»… (fa ripetere alla cantante tre, quattro volte). Ecco, i soldati portano in scena i bagagli degli ufficiali; fra questi c’è un baule, un baule di teatro, un po’ la cesta di Arlecchino, ecco, così. Despina, buttati dentro! Arrivano i due ufficiali con la loro bella divisa, che poi sono i nostri due albanesi, i mascalzoni. E quindi si devono cambiare tutti in fretta: «Mia cara, mio caro» si dicono, ma tutti e quattro sanno che hanno mentito e che non c’è poi gran gioia in quel ritrovarsi.

Ecco che Guglielmo trova il contratto di nozze: finta rabbia. No così, finta! Ma che cosa vuol mai dire tutto questo? Nozze. Nozze? «E via, traditrice, ridammi il mio ritratto» dice a Fiordiligi Guglielmo, mentre Despina esce travestita dalla sua cesta e si spoglia velocemente degli abiti di notaio per ritornare la serva finta di sempre (fa ripetere più volte). Non siate rigidi: velocità, leggerezza. Leggerezza, capite? Gioco… «Bevi, bevi, tocca tocca»… Ecco che tutto si ricompone nel campo di battaglia di questa farsa dolce-amara che è questa scena. Fedeltà, amore eterno… Un sogno, un sogno, tutti l’hanno imparato, tutti lo sanno. Ma la vita non è sogno, la vita è un’altra cosa. Noi uomini siamo effimeri come i nostri sentimenti… C’è tutto questo mentre cantate, al di là della parole. È questa la morale enorme che Mozart ci lascia. Su, così, bravi, tu coprila un po’ (dice a Guglielmo) perché lei è un po’ svestita. Su, abbracciatevi, ridete con un po’ di tristezza magari… la vita è questo, cosa credete?

Ecco, adesso, tutti insieme rivolgetevi verso il pubblico, abituatevi “a parlare” con il pubblico. Non sono un fanatico della dizione, ma dovete abituarvi a fare capire le parole che dite. «Che ridere, che ridere» cantate… Un bel sorriso, mi raccomando, ma tristezza… che bella la vita, che triste la vita… (fa ripetere la scena più e più volte). Ecco, tutto si scioglie. Sembra che i protagonisti abbiano capito tutto. Lasciano perdere, tutti insieme. Si abbracciano, ridono e piangono un po’, si vergognano e sono felici, ma provano anche pena. Le coppie si incrociano e si spiano. Chissà, uno va a guardare l’amante sotto la parrucca, un’altra trova un baffo perduto per terra. Forse per un attimo, ma solo per un attimo, gli ufficiali si mettono il vestito lasciato cadere dalle donne… Provate a farlo… Chi sono le donne? Chi gli uomini? Chi le infedeli? Chi gli spasimanti? Su, coraggio, fate: scioltezza, naturalezza, gioco… (Si ripete). Avete lavorato bene, sono contento di voi. Allora questo vecchio “mostro” vi fa un regalo. Vi dà un giorno di vacanza in più (applausi). Il 27 non ci sarò. Ci rivediamo il 28.

 

Diario di lavoro. Appunti dalle prove di Giorgio Strehler 12-23 dicembre 1997, a cura di Maria Grazia Gregori, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Video

Nel documentario Recitar cantando di Chiara Boeri, la sintesi – appassionante, commovente, a tratti esilarante – dei ventuno giorni di prove di Giorgio Strehler insieme ai dodici artisti dei due cast di Così fan tutte: una lezione di teatro, che illumina ogni verso del magnifico libretto di Lorenzo Da Ponte ed esalta la celestiale musica di Mozart.

Bozzetto

Bozzetto di Ezio Frigerio - Archivio Piccolo Teatro di Milano

Documenti

Ion Marin. “Il folle progetto” di Strehler

Ho sempre ammirato moltissimo Strehler, da quando, nell’81, lo incontrai per la prima volta a Parigi, al Théâtre de l’Odéon. Ed è con grande entusiasmo che ho accettato di dirigere questo allestimento di Così fan tutte che inaugurerà il Nuovo Piccolo Teatro con cantanti e musicisti giovanissimi. Sapevo che lavorare con Strehler sarebbe stata un’esperienza unica: lontani anagraficamente, ci siamo scoperti uniti dalla comune “religione mozartiana”. Questi giorni di lavoro febbrile e giocoso, in odio alla routine che uccide l’arte, hanno creato tra noi un legame destinato a superare la divisione fra vita e morte. Insieme abbiamo studiato e smontato tutta la partitura di Così fan tutte, ne abbiamo suonati interi brani, in cerca dei nodi tematici di questo vero e proprio apologo sull’amore. Così fan tutte ci ha pian piano svelato tutta la sua forza dirompente.

Programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

 

Con Strehler chiamavamo questo lavoro “il folle progetto”. Ma abbiamo avuto coraggio e ci siamo buttati nell’acqua senza paura. Del nostro successo sono contento anche per Giorgio, che non ha potuto godere neppure di questa piccola felicità. Lui, che era un grandissimo giocatore d’azzardo, che aveva l’istinto magico di scegliere la cosa giusta, ha dimostrato, anche senza esserci, di avere avuto ragione perfino nei minimi dettagli. Per quel che mi riguarda, non mi ha mai lasciato. L’ho sempre sentito accanto a me.

Riportato da Maria Grazia Gregori, Un piccolo grande successo, “l’Unità”, 15 febbraio 1998

Jonas Kaufmann. L’indimenticabile lezione di Strehler

[Così fan tutte] fu un’esperienza unica, una lezione che non ha mai smesso di essermi utile. Risento ancora le sue parole: «Devi ricreare in ogni replica una scena da zero, a seconda dei tuoi pensieri e delle tue emozioni». Il teatro d’opera c’è arrivato quindici anni dopo, oggi è la condizione per affrontare una carriera; il canto non basta più, bisogna entrare nel personaggio.

Il bello dell’Opera, intervista di Giuseppe Videtti, “la Repubblica”, 17 ottobre 2013

Carlo Battistoni. Un atto d’amore dovuto

Noi, che questo spettacolo abbiamo messo in scena per conto suo, non usciremo a ringraziare. Non siamo noi gli autori, ma lui. E lui ci sarà, la sua luce brillerà in scena. Arlecchino se ne va lasciando sul proscenio una torcia, nei Giganti della montagna resta una candela… Segni di speranza, di vita che continua. Stavolta, nell’ultima scena, arderanno 11 candelabri. Alla fine, 10 verranno portati via, l’ultimo resterà al centro della scena. Quel bagliore sarà dedicato a lui, riceverà gli applausi.

[…] Le indicazioni c’erano tutte. Tutte quelle scambiate in fitti colloqui, più quelle messe insieme in 28 anni di vita e lavoro comune. Io ho conosciuto il teatro con Strehler, di lui ho preso i difetti e non i pregi, ma il rigore sì. Lui ha cresciuto una banda di draghi: «I miei tecnici sono in grado di far sembrare fantastiche scene neanche decenti» diceva con orgoglio. Perché noi del Piccolo facciamo cose che sappiamo fare.

[…] Di solito lui provava in piedi, iniziando da dove pensava s’addensassero i nodi drammaturgici fondamentali. Per Così fan tutte, invece, ha detto: «Atto primo, scena prima». In 11 giorni ha percorso al galoppo tutta l’opera. È stato brillantissimo. Con foga quasi febbrile ha chiarito i significati dei rapporti tra i personaggi. Ogni tanto lo interrompevo: «Giorgio, questa scena si potrebbe fare così, ma anche colà». «Carlo, non farmi perdere tempo, questo lo deciderete, dopo, voi». Una risposta che oggi mi mette i brividi.

L’ultimo giorno, prima d’uscire, lo invitai a passare in sala. L’orchestra suonava l’ouverture. «Che gioia» mormorò lui. «È proprio così: fresco, giovanile, l’unico vecchio qua dentro devo essere io». Tanti piccoli presagi che mi hanno fatto tornare in mente una frase di Lear: «Essere pronti a tutto». Strehler, forse, senza saperlo, era pronto.

Riportato da Giuseppina Manin, Sul Nuovo Piccolo l’anima di Strehler, “Corriere della Sera”, 26 gennaio 1998

 

In questi giorni mi è tornata alla mente una lettera che Strehler mi scrisse nel luglio del ’96, quando, dopo la crisi con le autorità milanesi, gli subentrai nella regia di Madre Coraggio di Sarajevo: «Naturalmente il circo continua – mi disse –. Spero almeno che il lavoro, questa sera, ti dia un po’ di gioia. Anche se non m’illudo. Hai il cuore pesante anche tu».

Penso che portare avanti questo allestimento di Così fan tutte sia stato un atto d’amore dovuto, pur nelle difficoltà enormi che il lavoro ci ha portato ad affrontare. È stato un gesto doveroso verso un grande, che a me, personalmente, in questi ventotto anni di lavoro insieme, ha cambiato la vita.

Da lui, tutti noi che siamo cresciuti alla sua scuola abbiamo appreso valori artistici che non hanno prezzo: il nitore, la qualità, la cura, la precisione, l’impegno, elementi che costituiscono la “cifra”, lo stile inconfondibile di un modo di concepire l’arte.

Programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Franca Squarciapino. Costumi sospesi tra realtà e sogno

La lingerie delle due giovani napoletane è fatta di lievi sottovesti, le vestaglie si aprono con negligenza sui seni, e le fattezze del corpo si leggono nelle sete leggere, impalpabili. […]

Il gioco dell’amore, che pure è il tema fondamentale, sfocia, secondo l’analisi di Strehler, nella tristezza, perché l’ingenuità e la freschezza iniziale, forse la leggerezza del vivere, lasciano il posto a un po’ d’amaro, iniziazione alla maturità. E allora anche i verdi e azzurri, i bagliori dell’oro si spengono, i riflessi ancora visibili dei tessuti sono come l’eco di una felicità che non può esserci più. È la tristezza del risveglio. Niente sarà più come prima.

Riportato da Claudia Provvedini, Abiti sensuali, lo voleva il Maestro, “Corriere della Sera”, 26 gennaio 1998

 

Lo spettacolo nasce da una concezione registica particolare: costumi che non vorrebbero essere d’epoca, ma che lo sono invece profondamente… Sulla scena prende vita un mondo sospeso tra realtà e sogno: un Oriente di “turcherie”, così come potrebbe essere immaginato o raccontato da un orientalista del secolo scorso. Molte sono state le fonti di ispirazione dei miei costumi: Turchia, Arabia, India, l’Oriente, insomma, delle Mille e una notte.

All’ambientazione esotica si contrappone una Napoli estiva, solare, quasi realistica.

I costumi sono realizzati con materiali leggerissimi, quasi impalpabili (sete, organze, taffetà), impreziositi da ricami e applicazioni.

Il genio di Giorgio Strehler avrebbe poi dato luce e vita al mio lavoro.

Programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Marise Flach. Portando avanti il lavoro di Strehler

Strehler aveva diretto le prove fino al 23 [dicembre], con il suo solito genio inventivo, il consueto entusiasmo che ci coinvolgeva tutti. In questi giorni di prova aveva illustrato a se stesso, e soprattutto a tutti noi, il suo progetto Così fan tutte: alcune scene erano quasi compiute, per altre aveva indicato le “idee chiave”. Nel lavoro che abbiamo portato avanti, dopo l’orrore dei primi momenti, si è stabilito fra tutti i partecipanti un clima di grande collaborazione in cui ognuno ha dato il proprio apporto perché si giungesse al miglior risultato possibile. In queste prove c’è fervore, c’è gioia, c’è tanta pazienza; i cantanti sono adorabili, i musicisti meravigliosi, l’impianto scenico e le luci che Strehler aveva cominciato a progettare danno rilievo a quanto stiamo facendo. Carlo Battistoni e io ci siamo sempre sentiti in sintonia artistica con Strehler e speriamo che lo spettacolo tradisca il meno possibile il progetto iniziale. L’angoscia rimane.

Programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Jack Lang. La festa della giovinezza

Diceva Strehler: «Il teatro può cambiare il mondo, un poco».

Lui ha cambiato il teatro, definitivamente. Gettandosi con tutto se stesso nella messa in scena di Così fan tutte ha realizzato un vecchio progetto e un grande sogno: finalmente poteva incontrare l’unica, grande opera di Mozart che non avesse mai portato sulla scena. Ha voluto farne una festa. Lui, un uomo che si infiammava d’entusiasmo ogni volta che si parlasse d’arte e di cultura. Questa doveva essere la festa della giovinezza, dei cantanti e dei musicisti per l’apertura di quel suo teatro che lui aveva mille volte sognato, là dove ha diretto le prove nella gioia. Questa festa ce l’ha regalata lui che, andandosene, ci ha lasciato il regalo più bello che si potesse immaginare: una nuova creazione.

Questa festa della giovinezza, dei suoi sentimenti contradditori, delle sue indissolubili ambiguità, presenti nell’opera di Mozart-Da Ponte, contenevano degli elementi secondo Strehler diabolici, di cui ha voluto chiarire i più reconditi risvolti. Un progetto esemplare.

E poiché ogni grande maestro sa che il suo talento si giudica dalla capacità di trasmettere la conoscenza, lui ha fatto del Così un’esperienza pedagogica per tutta la giovane compagnia che aveva raccolto intorno a sé. Ha voluto anche dimostrare, con la diversità delle lingue e delle culture presenti in palcoscenico, che l’Europa rimaneva sempre il suo ideale ultimo e che la cultura ne sarebbe sempre stata la linfa vitale. Infine, voleva testimoniare che lassù, sulla scena, si poteva ancora, anche con mezzi modesti, riuscire a sfiorare il sublime.

Lui che aveva il gusto e la passione del dialogo con i grandi uomini – Shakespeare, Goldoni, Brecht – ci lascia, quali testimoni privilegiati, a vedere e ascoltare la sua ultima conversazione con Mozart. Questo “incontro al vertice” non può che rapire il cuore e innalzare i nostri animi e ricordarci che la morte non è mai così forte da interrompere la continuità.

Jack Lang, programma di sala di Così fan tutte, stagione 1997/98

Eleonora Vasta. Un nuovo teatro nel nome di Mozart

«Senza clamore, senza mondanità, semplicemente con uno straordinario raccoglimento, abbiamo incominciato le prove di Così fan tutte di W. A. Mozart. Il Teatro risuona ovunque della musica e dello spirito di chi stiamo cercando di interpretare».

Quando Giorgio Strehler indirizza queste parole ai lavoratori del Piccolo sono i primi giorni del mese di dicembre 1997. Da poche settimane la grande famiglia di via Rovello si è trasferita nella nuova sede, l’edificio di mattoni rossi di largo Greppi, che, per il momento, si chiama semplicemente “Nuovo Piccolo Teatro”: dopo diciott’anni di lavori, giunge a compimento il progetto della “cittadella del teatro”, fortemente voluto da Strehler e sino ad allora solo in parte realizzato attraverso l’apertura del Teatro Studio (1986).

Qualche mese prima, il Maestro ha condiviso pubblicamente le linee del Progetto 2000, nel quale illustra la sua idea di teatro totale da realizzare sul nuovo palcoscenico: prosa, musica, opera lirica, danza, cinema, per un’offerta culturale a tutto tondo, che superi le convenzionali distinzioni tra i generi. A sottolineare queste intenzioni, indica Mozart e Goldoni quali ideali compagni di viaggio della prima stagione del nuovo inizio, la 97/98. Il genio di Salisburgo gli sembra l’idea migliore sia per “bonificare” un luogo che lo ha fatto soffrire, sia per concludere il lavoro che, dagli anni Ottanta, conduce sul repertorio di Mozart-Da Ponte. […] Di Goldoni, che sovente nella carriera di Strehler è parallelo a Mozart (come Piccolo e Scala hanno raccontato anche nel 2007, insieme, in una mostra a Palazzo Reale curata da Lorenzo Arruga), intende realizzare un progetto al quale sta lavorando da decenni: la messa in scena dei Mémoires, monumentale autobiografia del drammaturgo veneziano, avvincente come un romanzo di Dumas padre. Ma se per Goldoni ha già in mente a chi assegnare tutti i ruoli, la selezione dei cantanti per la produzione di Così fan tutte deve essere ancora fatta. Chiarissime le idee di Strehler: «Voglio cantanti giovani e giovanissimi, della stessa età dei personaggi che devono interpretare. Di vecchio debbo esserci solo io!». Condotto insieme al Maestro Carlo de Incontrera, vecchio amico triestino del regista, e al direttore d’orchestra rumeno Ion Marin, che guiderà l’Orchestra Sinfonica Verdi (compagine nata da pochi anni e anch’essa animata da giovani e giovanissimi musicisti), il casting dura alcune settimane e approda a due distribuzioni, dove figurano, tra gli altri, alcuni nomi destinati a carriere di grandissimo successo: nei ruoli di Fiordiligi si alterneranno Eteri Gvazava e Ana Rodrigo; Terese Cullen e Lesley Goodman interpreteranno Dorabella; Jonas Kaufmann e Mark Milhofer saranno i due Ferrando; Nicolas Rivenq e Markus Werba nel ruolo di Guglielmo; Soraya Chaves e Janet Perry per Despina; Alfonso Echeverría e Alexander Malta nei panni di don Alfonso.

Al lavoro sull’allestimento, insieme a Strehler, la coppia che ha “inventato” il Settecento in teatro, cioè Ezio Frigerio e Franca Squarciapino. Marise Flach è l’insostituibile aiuto per insegnare ai cantanti a essere anche ottimi attori. Carlo Battistoni è l’assistente alla regia.

[…] A turno saliamo al sesto piano, dove si trova la sala prove intitolata a Fiorenzo Carpi, per spiare la compagnia al lavoro. Le porte sono aperte: Strehler ha sempre adorato farsi vedere mentre lavora e questa volta non è da meno. Il Maestro è incontenibile: gesticola, canta, improvvisa, recita. In prova si parlano tante lingue: italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese. Eteri Gvazava parla solo russo e un poco di tedesco, ma la mimica di Strehler non ha bisogno di interpreti: «Qui tutti si desiderano, tutti tradiscono, tutti mentono… – spiega – Il pubblico capisce subito che quei personaggi si comportano come succede anche a noi. E allora… perdoniamoci perché tutti siamo capaci di sbagliare… un po’ di pietà e di bontà l’uno per l’altro, perché non solo noi personaggi, non solo noi che cantiamo, non solo noi che facciamo il teatro, ma anche quelli che ci ascoltano e ci vedono possono sbagliarsi… Adesso mi guardate così come se dicessi chissà cosa; ma quando sarete più maturi vi ricorderete di quello che vi ha detto questo vecchio signore, di quello che vi ha chiesto. Ragazzi, la vita è questo. Tutto è in movimento nella vita, niente è fermo, inerte, freddo. La coppia è un fatto provvisorio, può sempre rompersi e rovesciarsi. Le passioni non sono mai definitive, ma momentanee. L’eros è sempre al di là delle convenienze».

È vero: sono tutti un po’ perplessi, anche perché Strehler non manca di completare le spiegazioni più teoriche con gesti esilaranti. «Ho visto un’idra, un basilisco» dice Fiordiligi quando sta per cedere a Ferrando, ed ecco che il Maestro si addentra in una spiegazione piuttosto colorita, suscitando l’ilarità degli astanti. Intanto in palcoscenico è cominciato il montaggio: la Napoli immaginata da Frigerio sta prendendo vita, nella sua sublime, delicata malinconia. In una lunga lettera allo scenografo, Strehler ha raccontato tutto lo spettacolo, descrivendolo punto per punto nei minimi particolari, dal boccascena ai fondali, fino al dettaglio degli ambienti, del mobilio, delle stoviglie. Gli artisti indossano già alcuni “pezzi” dei meravigliosi costumi che la sartoria sta approntando: abiti leggeri, per le donne, per le due sorelle come per la loro cameriera, che valorizzano le figure e ne esaltano la sensualità; divise filologiche per i due ufficiali; costumi sontuosi per i finti albanesi; una redingote consunta per don Alfonso, retaggio di un antico benessere, sperperato al tavolo da gioco e all’osteria. Strehler lavora su ogni gesto, su ogni parola, su ogni accentazione, per instillare nei cantanti la sua idea di teatro musicale: devono comprendere perfettamente quel che vanno dicendo così da comunicare al pubblico l’infinita ricchezza emotiva che si cela dietro le note di Mozart, ma anche l’acuta, graffiante ironia del libretto di Lorenzo Da Ponte. Devono, in una parola, recitare: «Rivolgetevi verso il pubblico – dice – abituatevi “a parlare” con il pubblico. Non sono un fanatico della dizione, ma dovete abituarvi a far capire le parole che dite». È questa una lezione che Jonas Kaufmann e Markus Werba, ancora oggi, non mancano mai di sottolineare come fondamentale nel loro processo di maturazione artistica. Il 23 dicembre, prima della pausa natalizia, è tempo di provare l’ultima scena dell’opera, il fatidico momento in cui i giochi si svelano. Don Alfonso ha vinto la scommessa: messe alla prova, le ragazze hanno tradito i fidanzati. La vita è così, si tradisce e si viene traditi, Mozart ci insegna che non bisogna farne un dramma.

[…] Strehler morirà nella notte di Natale, senza poter vedere ultimata questa sua nuova creazione e senza poter inaugurare il palcoscenico del teatro che oggi porta il suo nome. Grazie all’impegno e alla dedizione di tutti, lo spettacolo debutterà il 26 gennaio del 1998, sulla base delle indicazioni che il regista aveva dato in quelle sole tre settimane di prove, rimanendo in repertorio per alcune stagioni.

Il 23 dicembre, nel tradizionale brindisi di Natale con i lavoratori, Strehler aveva detto: «Abbiamo lavorato concentrati, lontani da ogni mondanità, dedicandoci solo a Mozart, in un Teatro Nuovo che alzerà per la prima volta il sipario in suo nome. Non c’è modo migliore per festeggiare il Natale e l’Anno nuovo che verrà».

Eleonora Vasta, L’incantesimo del Settecento, “La Scala Magazine”, agosto 2021, per gentile concessione Teatro alla Scala

Rassegna stampa

Un addio al mondo in chiave di esortazione al Bello

Un candelabro che arde al centro della scena, immagine di luce inestinguibile, ma anche di luminosa solitudine. Di genio isolato. Di ostinata immaginazione. Carlo Battistoni ha avuto quest’idea felice per regalare al Così fan tutte di Giorgio Strehler, che ha ufficialmente aperto, ieri sera, l’attività del Nuovo Piccolo Teatro, la sensazione viva, netta, precisa, della presenza in sala del regista scomparso.

[…] Un candelabro lasciato solo lassù, in mezzo ai sentimenti e alle emozioni, quale segno d’arte e passione in un momento, al tempo stesso, grande e difficile. Grande perché lo Stabile milanese, che festeggia il suo cinquantenario, entra finalmente in possesso del teatro per cui Giorgio ha tanto lottato: 500 metri quadrati di palcoscenico e quasi 1.000 posti nell’edificio progettato da Marco Zanuso. Difficile perché il vecchio leone, l’anima di tante battaglie, se n’è andato all’improvviso la notte di Natale, un mese e un giorno fa, lasciando ad altri il compito di gestire il futuro.

[…] Battistoni ha mosso i bei corpi degli artisti senza mai oltraggiare grazia e sensualità comandate dal Maestro. E sì, proprio come lui avrebbe voluto, è il gioco dell’eros, dell’amore privo di catene, della giovinezza trionfante, a dettare legge sempre e comunque, liberatorio a tratti, soggiogante, fascinoso. Un addio al mondo in chiave di esortazione al Bello. Strehler lo ha preteso chiamando accanto a sé Mozart e il suo complice Da Ponte, regalo estremo a se stesso e gli altri, che vola alto su ogni miseria.

Rita Sala, “Il Messaggero”, 27 gennaio 1998

Si esce da teatro con la commozione nel cuore

Di chiunque si voglia considerare la regìa di questa edizione dell’opera mozartiana, in essa si alzano, come una ventata in una notte luminosa, momenti di una bellezza altissima e struggente: il languore impigrito delle due dame abbandonate sulle dormeuse; l’improvvisa apparizione del “fantastico” o del “fantasmagorico”, con i cavalieri albanesi e le stelline d’Oriente lanciate sul piancito; la barca che scivola sotto il cielo trasparente e la mezzaluna, con i suoi lumi vespertini che sono una promessa sensuale e dolorosa dell’amore. Solo per questo, si esce dal Così fan tutte, che si avvale delle scene eleganti di Ezio Frigerio e dei meravigliosi, leggerissimi costumi di Franca Squarciapino, con la commozione nel cuore.

Francesco Maria Colombo, “Corriere della Sera”, 27 gennaio 1998

I segni della mano di Strehler

La mia risposta alla domanda se la mano di Strehler si sente nelle tre ore della rappresentazione è tutto sommato sì. Per queste ragioni: perché lo stile dépouillé, astratto lirico, perseguito sempre più rigorosamente dall’ultimo Strehler, si ritrova nelle nitide, luminose sequenze dello spettacolo; e perché si avverte, sulle ali della musica, la gaiezza leggera nella quale si era compiaciuto Strehler dopo la fase brechtiana, con la ripresa del “suo” Goldoni nell’arco magico fra il Teatro e il Mondo, con la favola morale dell’Isola degli schiavi di Marivaux. Ma i segni di questa sua “presenza” si fanno via via anche più precisi, in forma di citazione, anzi di stilemi. Intendo i vezzi “goldoniani” delle coppie innamorate che danno coloriture maliziose alle arie e ai recitativi, lo spleen quasi “cecoviano” delle sorelle Fiordiligi e Dorabella quando sognano di Ferrando e Guglielmo, illanguidite sulle chaise longue, o quando, ignare dell’inganno tramato per verificare la loro virtù, s’abbandonano in riva al mare alla rêverie esotica dei loro spasimanti albanesi; e quel mare di Napoli, con quelle barche che sono più di Chioggia che di Santa Lucia, quei momenti da Commedia dell’Arte con la servente Despina travestita da medico dopo il falso avvelenamento dei nuovi fidanzati, e da notaio per il contratto di nozze che svela l’inganno. E ancora i siparietti, i movimenti scenici in controluce, le mezzelune orientali, le fantasmagorie dei candelabri al banchetto delle féeries registiche per La Tempesta e gli ultimi Arlecchino: qui i materiali sono, evidentemente, quelli che Strehler aveva concordato con lo scenografo Frigerio, ma senza avere avuto la possibilità di introiettarli in una sintesi registica, “farli suoi” interamente, come usava.

Queste e altre identificazioni segniche non è davvero difficile reperirle. Accade sempre – era inevitabile – che alcune risultino inerti o imprecise: sinopie che non si è avuto il tempo o l’ardire di trasformare in quadri finiti.

Ugo Ronfani, “Il Resto del Carlino”, 28 gennaio 1998

Una lezione amara attraverso il leggero gioco teatrale

Doveva essere l’inizio di una nuova avventura, il Così fan tutte di Mozart nella messinscena di Giorgio Strehler. L’avventura doveva avere inizio con l’inaugurazione – dopo vent’anni di lavori […] – della nuova sede del Piccolo Teatro. E con il primo appuntamento del Progetto 2000, ovvero quell’utopico “Teatro d’Arte Totale” in cui far incontrare teatro, musica, opera lirica, danza, televisione, arti visive… Un progetto ambizioso, quello delineato dal regista per la “rifondazione” del suo teatro; volto al culto del Bello, ma pronto a confrontarsi e scontrarsi con l’attualità e con le moderne forme di comunicazione, capace di offrire la possibilità di partecipare a quella «straordinaria avventura dello spirito che è il teatro», e rivolto soprattutto ai giovani […]. Invece, l’opera di Mozart, andata in scena un mese dopo l’improvvisa morte del regista (che ne aveva abbozzato l’impianto in una prima intensa sessione di prove), assume inevitabilmente il valore di un testamento, e insieme di un punto di riferimento per chi voglia in qualche modo raccoglierne l’eredità, dentro e fuori dal teatro milanese.

Allora, forse, più che sullo spettacolo in sé (che dopo la scomparsa del regista è stato «realizzato», come si legge nel programma di sala, dal direttore Ion Marin, da Carlo Battistoni, Marise Flach, Ezio Frigerio e Franca Squarciapino), vale la pena di riflettere sui motivi di una scelta insolita per un teatro di prosa. Aprire con un’opera significa innanzitutto rompere con la divisione in generi, a favore di una nuova sintesi. Significa, soprattutto, misurarsi con la tradizione, nelle sue punte più alte, per cercare di porsi – noi contemporanei – alla sua altezza: e questa è una sfida lanciata sia agli artisti che al pubblico, che presuppone un maestro in grado di trasmettere il senso riposto, e i segreti (e magari anche i trucchi). Poi c’è, naturalmente, la decisione di partire dall’amatissimo Mozart: e la scelta punta con decisione verso la leggerezza (vengono in mente le Lezioni americane di Calvino), confermata anche dai frizzi ironici degli straniamenti e delle gag, soprattutto nella prima parte dello spettacolo. È una leggerezza nutrita di musica, che punta alla vertigine, all’ebrezza sensuale, forse anche al sublime, e che però non sembra mai poterli raggiungere. Viene interpretata alla perfezione dai costumi di Franca Squarciapino: vaporosi e quasi indecenti, pastelli chiarissimi che si fanno accarezzare dalla luce e alludono a una intimità popolata di fremiti e inquietudini.

Lavorare sulla leggerezza e procedere per sottrazioni significa anche condensare l’orizzonte dello spettacolo, quel teatro del mondo che è il palcoscenico, in pochissimi segni. La lievità monumentale della scena di Ezio Frigerio è anch’essa accarezzata da un chiarore morbido, mai abbagliante: due quinte morbide, un fondale che diventa cielo, orizzonte o parete, un molo dietro il quale sfila una barca… E pochi arredi, a caratterizzare gli interni, nell’astrattezza di uno spazio dove far vibrare i corpi e le voci.

Tutto questo implica – è chiaro – l’accettazione delle convenzioni del gioco teatrale. È solo all’interno di questo codice e delle sue regole, contro ogni tentazione realistica, che per Strehler è possibile trovare la verità sulla scena: ma forse solo nel momento in cui viene forzata fino all’estremo, bruciata dall’interno con il fuoco della poesia – o della vita. Quando un gesto, un’intonazione, lo sfiorarsi di due corpi, possono finalmente rivelare la loro autentica essenza. Da questo punto di vista, la scelta di lavorare con dei giovani (il trentasettenne Ion Marin, l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, il coro della Civica Scuola di Musica di Milano, gli allievi della Scuola del Piccolo, e soprattutto il cast dei cantanti) offre più flessibilità rispetto alle grandi istituzioni. E soprattutto una freschezza e duttilità, un gusto d’avventura e uno slancio esistenziale che promettono di bilanciare il peso dei classici e riempiono di significati la trasmissione del sapere dell’anziano maestro.

Infine c’è il senso più profondo nella scelta di quest’opera, di Così fan tutte, intimamente legata al percorso dell’ultimo Strehler e alla sua riflessione sulla natura profonda del teatro e del lavoro del regista. Perché al centro del libretto di Da Ponte – un apologo dagli accenti vagamente misogini sull’incostanza femminile – sta il meccanismo tutto teatrale del travestimento. […]

Al di là del lieto fine, è una lezione amara, quella cercata attraverso il gioco divertito e leggero del teatro, evocata dal potere della musica e della sensualità, e trovata sul palcoscenico. Il teatro non offre un’occasione di liberazione. Non regala il magico fascino del gioco spettacolare. Piuttosto è un cammino di conoscenza (e soprattutto autoconoscenza) che non necessariamente porta gratificazioni e consolazioni.

Questo percorso paradossale (perché conduce a una sconsolata verità attraverso la mistificazione) ha naturalmente un demiurgo. Il fulcro della vicenda è don Alfonso – uno dei tanti alter ego “registici” che popolano soprattutto gli ultimi spettacoli di Strehler. Esperto delle cose del mondo, disilluso quanto basta, è lui (con la complicità della serva Despina di Soraya Chaves) che mette in moto e governa, gesto dopo gesto, parola dopo parola, la partita dei travestimenti. Quella che offre questo maestro del disincanto può apparire come una educazione al cinismo e alla leggerezza, o una superiore forma di saggezza. Il punto d’approdo, una amorevole comprensione della natura umana e delle sue debolezze.

Oliviero Ponte di Pino, “il Manifesto”, 28 gennaio 1998

Un prezioso reliquiario della memoria del Piccolo Teatro

Spinto repentinamente in prima fila, Battistoni ha realizzato uno spettacolo che non è solo un amorevole completamento, bensì una sorta di prezioso e assolutamente mai sterile reliquiario della memoria teatrale del Piccolo Teatro. Ripassano infatti – nelle immagini che si susseguono con fluida naturalezza sul palcoscenico – la vibratile luminosità delle Baruffe e del Campiello; la tenerezza ruvida eppure dolcissima della Minna von Barnhelm; la densità cuprea con cui il ritmo scatenato dell’ultimo Arlecchino si differenziava dai precedenti facendosi più plastico, addensato in una malinconia struggente e sempre ai confini della tristezza. E tante altre cose – quelle luci, quei colori, quella scena vuota eppure abitata da una segreta, umanissima vita interiore – sono altrettanti tocchi che fanno vibrare le corde della memoria di un milanese non più giovane ma appassionato di teatro: cose che riaffiorano non per soffocare nel rimpianto, bensì per dar forza alle ali di uno spettacolo che ha un proprio respiro, un proprio ritmo, una propria stupenda libertà di fantasia.

Nella limpida trasparenza di una scena vuota ma continuamente abitata da una luce che la costruisce e la disfa nel giro di un soffio, già la prima idea, nel fornire alla regia la sua cifra essenziale, arriva diritta al cuore dell’opera: i due uomini sono travestiti non quando indosseranno i morbidi panni di «vallacchi o turchi», ma allorché ci si presentano nella scena iniziale con baffi e cappottoni militari, muovendosi con un’impettita rigidità che sparirà invece nella ricomparsa sotto mentite spoglie, ovvero quando permetteranno al loro vero essere di emergere dalle costrizioni della “normalità”. La provvisorietà, l’ambigua interscambiabilità della coppia e delle sue pulsioni, questa storia che per rispetto delle convenzioni forse finge uno strano gioco solo per rimediare a un errore sentimentale ma finisce col far capire ancor meno ai suoi protagonisti, si afferma così in un ritmo teatrale scatenato eppure tutto in punta di piedi, specchio ideale – ecco il filo rosso del teatro di Strehler – del nostro teatro quotidiano, dove sincerità, finzione, conoscenza e non conoscenza di noi stessi sono allo stesso tempo verità luminosa e torbida menzogna, ma dove tutto, nonostante tutto, ha la levità conturbante di un sorriso, di una commedia che nel contemplare il proprio retrogusto tragico riassume lo spirito di un’epoca per consegnarlo all’eternità della condizione umana. Il tutto, con quella semplicità, quella vivacità, quell’immediatezza ridente e melanconica, appassionatissima e dolorosa, che solo la fresca comunicativa di interpreti giovani e totalmente coinvolti potevano spontaneamente trovare. Ma trasmettere poi tutto questo al pubblico è stato possibile solo perché una guida attenta – dove l’esperienza riusciva a non uccidere mai l’entusiasmo della riscoperta – è riuscita a organizzarlo in compiuta e riconoscibile coerenza teatrale.

È stato l’ultimo grande spettacolo di uno Strehler che attraverso questo Mozart – dove è sembrato ritrovare e riannodare i davvero magici fili che formavano la trama del lontano Flauto magico salisburghese, il suo spettacolo lirico probabilmente più straordinario – forse avrebbe potuto rinnovarsi. Spettacolo, però, fatto vivere e palpitare da quell’autentico, grande uomo di teatro che Battistoni è sempre stato.

Elvio Giudici, “Musica”, marzo/aprile 1998

Una regia curata fin nei minimi particolari

La storia del pericoloso gioco, inscenato per mettere alla prova la fedeltà femminile e tutto costruito sulle sublimi note di Mozart, si può tranquillamente allineare ai tre grandi capolavori della produzione mozartiana, anche se gli intrecci un po’ assurdi della trama non ne fanno certo materia facile da gestire per il regista. Ma è qui che possiamo apprezzare la maestria di Strehler, capace di trasmettere vividamente il calore dei corpi e dei sentimenti, di esprimere la psicologia e le caratteristiche dei singoli personaggi, riuscendo in pieno a dare nitida forma teatrale alla verità più profonda della natura umana. Una regia curata fin nei minimi particolari, ma mai invadente nei confronti della parte musicale, come solo chi conosca a fondo la musica di Mozart e la sua grandezza è in grado di fare. Abbiamo potuto constatare veramente la centralità che riveste la regia.

Masazumi Oki, “Shimbun Akahata”, 5 dicembre 2000

Sembra risuonare la voce di Strehler

È proprio giusto così, come hanno scritto in locandina: uno spettacolo di Giorgio Strehler. Uno. Perché non era terminato. E perché è stato uno dei tanti, uno dei suoi più belli. E il Così fan tutte che ritorna dopo dieci anni a casa, a Milano, sul palcoscenico dove il regista nel dicembre del 1997 lo stava meticolosamente costruendo, consegnandogli senza saperlo il suo congedo. È l’opera per eccellenza degli addii, questa: quando i due ragazzi partono e si intrecciano con le ragazze tra linee perfette di canto, quasi sacro, tra «addio, bell’idol mio» e «mi si divide il cor», solo Mozart sa dire così la separazione. In quel Quintetto che non è strazio, non ha lamenti, ma va molto oltre. È una delle pagine assolute della musica. Continua a pungerci, a distanza, con la striscia acuta del fagotto, i violini ribattuti, l’invenzione della scrittura vocale a quattro, con sotto il bordo un po’ cinico, un po’ vero, del saggio don Alfonso, «io crepo se non rido».

Chissà come l’avrebbe detto Strehler. Certo, mai come in questo suo ultimo Così fan tutte sembrava risuonare la sua voce. Pare oggi più perfetto rispetto a dieci anni fa. E questo è davvero singolare, perché le riprese a distanza sanno sempre un po’ di riesumazioni. Invece nella serata di giovedì scorso, c’era solo il piacere della riscoperta: il pubblico rideva delle battute – cosa che non capita mai con quest’opera –, ammiccava delle “collinette amorose”, delle farfallette agonizzanti, dette finalmente così bene e su un’immagine visivamente perfetta di seduzione, col gioco delle coppie sempre simmetriche ai lati del divanetto, un profumo vago di oriente, vento di follia, giocosità della giovinezza.

Adesso che ha girato per tutto il mondo, quasi come l’Arlecchino, il Così fan tutte meriterebbe di stare come uno spettacolo stabile a Milano. […] Tanto doveva aver amato Strehler quest’opera, che di quell’emozione ancora tutta è pervasa. Gioco e vita si confondono, i piani sempre vicini: come quando sulla barca festosamente addobbata come un vicolo di Napoli la prima coppia si rifugia nascosta, mentre la seconda lì a un passo ancora inutilmente difende un’idea tra riso e lacrime di fedeltà.

Carla Moreni, “Il Sole 24 Ore”, 16 dicembre 2007

Questo sito utilizza sia cookie tecnici sia cookie di parti terze per il funzionamento della piattaforma e per le statistiche. Può conoscere i dettagli consultando la nostra Privacy Policy.