Il 14 maggio 1947 con L’albergo dei poveri di Gor’kij, regia di Giorgio Strehler, che vi interpreta anche – un cappello a visiera in testa e una fisarmonica – il ruolo di Alioscia, si inaugura il Piccolo Teatro di via Rovello. 14 maggio 1986: nella Sala Brecht del Teatro Studio, accompagnato dalle tenere note di un trio di Schubert, Giorgio Strehler, come regista e come interprete del ruolo di Louis Jouvet, inizia le prove di Elvira, o la passione teatrale che a giugno inaugurerà il nuovo spazio, da poco “consegnato” al direttore del Piccolo.
Tra un avvenimento e l’altro quaranta stagioni, trentanove anni di teatro. Se gli anniversari hanno ancora un senso, in queste date sta racchiusa una storia teatrale esemplare; la vicenda del primo teatro stabile d’Italia e un magistero registico che conta ben più di duecento messinscene. Giorgio Strehler è felice, in forma perfetta. Dice: «È chiaro che questo luogo non è ancora finito, e che c’è ancora molto da sistemare, ma noi con una volontà che oserei chiamare suicida abbiamo voluto inaugurarlo ugualmente, lavorando, perché ci sembra il modo migliore di celebrare i nostri compleanni. Qui, al secondo piano, stiamo provando noi, al piano di sotto Puggelli ha riunito il suo gruppo di lavoro dedicato alla drammaturgia contemporanea. Un teatro vivo è questo. Però non voglio che si enfatizzi quello che stiamo facendo in questo momento: è la nostra vita di sempre. Eppure mi rendo conto che tutto questo contiene qualcosa di simbolico. È simbolico che si sia scelto uno spettacolo come Elvira, o la passione teatrale, tratto da sette lezioni che Jouvet tenne nel 1940 sul Don Giovanni di Molière al Conservatoire di Parigi, proprio qui, nella sede di quella che fra pochi mesi sarà una scuola. La nostra è, dunque, una scelta che vuole significare una continuità nel futuro. E poi voi siete qui con il direttore del Piccolo Teatro, ma anche con un teatrante che, sempre, si è sentito allievo di Jouvet. Ho dato a Elvira, o la passione teatrale il sottotitolo di rappresentazione. È un testo su cui ho lavorato molto, operando degli inserti di altri scritti di Jouvet sul lavoro iniziale di François Regnault e Brigitte Jaques, che è stato rappresentato quest’anno a Parigi con grande successo. Il testo nasce dunque da queste lezioni sulla scena VI dell’atto IV del Don Giovanni che hanno un andamento irregolare nella loro scadenza: così mi è parso utile spiegare il perché di questa “irregolarità”, seguendo la storia di quegli anni che verrà riproposta tra una lezione e l’altra attraverso dei flash filmati, delle immagini. Come spiegare, infatti, che fra la quinta e la sesta lezione c’è stata l’occupazione tedesca di Parigi?».
I protagonisti di Elvira, o la passione teatrale sono, con contorno di altri giovani studenti, Jouvet e una sua giovane allieva, certa Claudia che oggi ha ottant’anni e che è stata fra i pochi a essere tornati vivi dai campi di concentramento. Strehler sarà Jouvet: «Ma sia chiaro – spiega – io non farò Jouvet; sarebbe ridicolo. Semplicemente testimonierò Jouvet». Claudia sarà Giulia Lazzarini «una delle mie attrici predilette – dice il regista –, il rapporto che c’è fra me e lei è del tutto simile a quello di cui qui si parla. Pensate che dopo vent’anni mi dà ancora del lei e mi chiama “Maestro”… anche se io non voglio».
Sono anni, ormai, che fatta eccezione per qualche recital di poesie, Strehler non recita più in pubblico. Dice agli attori: «Voi lo sapete, io penso che il teatro sia fatto di testi e di attori. Quando il pubblico non c’è io tengo una posizione intermedia fra voi e loro. Poi, quando andate in scena devo sparire. In questo caso, invece, io mi metto allo scoperto, ci sono tutto, do la mia ultima maturità in mano alla gente. L’unica paura che ho è per la memoria: non sono più abituato a recitare una parte così lunga».
Poi si lavora: seduti su bei tavoli di legno chiaro, sotto una luce discreta di lampade verdi di opaline, ognuno con il suo piccolo mazzo di fiori, Strehler con accanto il suo “talismano”, la bacchetta di Cotrone nei Giganti della montagna di Pirandello: e forse anche questo ha un suo significato simbolico.
«Ecco – dice Strehler – potrei cominciare così, seduto, le braccia distese, il busto in avanti proprio come era solito fare Jouvet. Fatalmente però dirò le sue parole a modo mio; sarà, la nostra, un’identità di cose dette da sempre da due uomini diversi fra loro ma con lo stesso amore totalizzante per il teatro».
Si comincia: Strehler legge inesauribile, si muove, si appassiona facendo tutte le parti, ci affascina, ci cattura. Questa Elvira, o la passione teatrale, una «rappresentazione di Giorgio Strehler», come dice il sottotitolo: passione, sudore, e fatica per tre ore consecutive senza un attimo di tregua per sé e per noi. E teatro è anche l’applauso spontaneo che accomuna gli attori e gli invitati alla fine dell’inattesa performance. La prova è finita e Strehler torna a essere il direttore del Piccolo Teatro: parla delle dispense che, mensilmente, verranno fatte pubblicando inediti di Jouvet. Racconta di una registrazione fatta a Parigi nel 1949: un incontro fra Marcello Moretti, il primo Arlecchino, Antonio Battistella, il primo Brighella, e Jouvet sulla Commedia dell’Arte. Poi scendiamo nella sala circolare e ci fermiamo sotto un lungo filare di nuvole di cartone che forse saranno la base della scenografia per Elvira. In quel momento ci pare di capire il messaggio che Strehler ci vuole dare: certo il teatro è tecnologia, lavoro, metodologia e studio, ma è anche nuvole, illusione.
Maria Grazia Gregori, A lezione da Strehler, “l’Unità”, 16 maggio 1986
Assistendo alle prove di Elvira, o la passione teatrale, al di là del coinvolgimento che si sente sempre di fronte a qualcosa di oscuro che prende forma mano a mano, l’emozione più grande viene dalla consapevolezza che è sì Jouvet a parlare per bocca di Strehler in una sorta di dialogo diderottiano a distanza, ma che, allo stesso tempo, è Strehler che si rivela attraverso le parole di Jouvet.
È una sensazione più forte dell’incontro, anche traumatico, con un personaggio: è giungere alle sorgenti della teatralità dove pare quasi di poterlo cogliere, finalmente, quel segreto, il loro segreto. È lì, nel nocciolo oscuro della consapevolezza di sé, nella concezione pura – ma dura ed esigente – del lavoro che unifica ai nostri occhi due personalità, due storie così diverse. Sta in quel ricercare ossessivo e inquieto, dentro i minimi e apparentemente insignificanti lacerti delle parole, nei piccoli gesti significativi, negli sguardi, nella capacità di socchiudere con dolcezza, ma senza timore, la porta segreta della memoria dell’attore. E questa volontà, questa discesa impietosa, giù nel fondo, alla ricerca della verità più vera dell’attore – in questo caso dell’attrice – colma di fantasmi, sogni, paure, nasce dall’aver già provato, su se stessi, quell’oscurità da cui, poi, risalire.
L’aveva detto anche Socrate: conosci te stesso. E tutte le parole di Jouvet, la sua recitazione a scatti, la sua immagine imperiosa dalle guance scavate e dalla bocca carnosa, tutto il lavoro di Strehler, la sua ansia mai soddisfatta di giungere al cuore delle cose, tutto quell’andare e venire, su e giù dal palcoscenico, dentro e fuori lo spettacolo, mi è sembrato riconducibile a quella semplice massima: conosci te stesso.
[…] Questo incontro Strehler-Jouvet, dopo molti incontri veri, vere parole e consigli, dopo l’omaggio della regia de La pazza di Chaillot, è la strada prescelta per scrivere un libro – dove le parole sono attori in carne e ossa – sul teatro nel momento in cui lo si fa.
Il risultato non è un metodo scritto, ma un metodo vivo.
[…] L’incontro Strehler-Jouvet in quell’incessante andare e venire dentro e fuori una ribalta di legno, con alcune lampadine accese, “poveri” e semplici segni dell’illusione, riporta il teatro a una dimensione sacrale, a quel momento primario in cui la parola dell’autore incontra l’esserci dell’attore, la sua presenza, a quell’arte maieutica che è propria solo dei grandi registi e dei grandi maestri. E ci parla di un teatro come insegnamento in un luogo che sarà una scuola e che già oggi, nel nome di Teatro Studio, ci riporta agli inizi di un teatro, il Piccolo, che proprio nel nome di Stanislavskij, con L’albergo dei poveri di Gor’kij, si inaugurava.
Maria Grazia Gregori, Jouvet-Strehler: il teatro è un atto d’amore, programma di sala di Elvira, o la passione teatrale, stagione 1985/86