11 marzo 1978
I bozzetti delle scene di Luciano Damiani circolano per la sala prove, mentre Giorgio parla dell’“ultima zattera” di una civiltà che ha in sé la contraddizione di una spinta verso un mondo nuovo e delle tare di una società in cui regicidi, guerre di conquista, evoluzione del potere economico, intrighi, congiure, genocidi gravano sul futuro. […] Per Jan Kott, La Tempesta è il dramma di un’illusione perduta, di una disfatta. Per Jan Kott, marxista disilluso, umanista rassegnato, è Prospero che torna ai suoi libri, alla sua Eneide, alla sua cultura che non cambierà il mondo. Ma ogni frase che Giorgio offre a noi nel corso di queste letture a tavolino – ora si comincia a sentire impegnati gli attori – ci dona l’alternativa di un diverso umanesimo. […]
16 marzo
Aldo Moro è stato rapito stamattina. È stato proclamato uno sciopero generale, la prova è stata sospesa. Proprio ieri Giorgio parlava dell’impotenza dell’arte, dell’impotenza del teatro a mutare e rendere migliore la società, riferendosi alla simbologia di Prospero che abiura la sua “magia”. Siamo tutti come schiacciati da questo che è il più recente di infiniti drammi che stanno travagliando la nostra società – ma è spaventoso rendersi conto che questo, come altri drammi, sembra soltanto sfiorare le coscienze di tanti cittadini. Sono venuto a scrivere queste note nella mia stanza di via Rovello, sotto la sala prove, e non riesco a mettere ordine nei miei pensieri. […]
Questa Tempesta è l’amara tempesta di tutti e in ciascuno di noi. Una volta di più, in questa tragica giornata, mi rendo conto della necessità di portarla a compimento.
27 marzo
Mentre gli attori riposano, fervono i sopralluoghi al Lirico. Intanto, dai bozzetti di Damiani, è scomparso un elemento che sembrava indispensabile, cioè la roccia che avrebbe dovuto polarizzare l’attenzione sull’“ambiente-Prospero”. Ormai l’isola è una pedana munita di tre botole da teatro e sezionata in due triangoli che possono assumere forme diverse e indipendenti, ed elevano le opposte punte posteriori creando di volta in volta immagini, paesaggi diversi. […]
Chilometri di seta cinese proveniente da una ditta di Brema vengono intanto approntati in sartoria e agitati dai mimi di Marise Flach a fingere il mare. È un effetto affascinante. Ma questi ragazzi non sono da invidiare, anche se la scena iniziale della tempesta non dura più di otto minuti. Provare per credere! Provare ad agitare con le braccia, restando invisibili (o correre lungo rivette, alte mezzo metro e lunghe sei, agitando la seta dal basso), metri e metri di questi veli, creando le immagini delle onde.
Giulia Lazzarini prova i voli di Ariel. È tormentata dall’“imbragatura” del bustino a cui è applicato il moschettone che imprigiona il cavo d’acciaio manovrato da Aurelio Caracci, il capo macchinista, tifoso della Lazio e nostromo continuamente tirato in ballo su questo vascello registico colmo di grossi e complessi problemi tecnici. Giulia sta diventando una vera acrobata e Aurelio un partner indispensabile. È lui a dover dirigere il cavo, allentare o tirare, sollevarla o lasciarla planare. Carlo Battisoni, di cui Giulia, nella vita privata, è la compagna, segue – pateticamente trepido – queste evoluzioni. È lui, il “regista dei voli”, con Marise, a ricercare le immagini, le posizioni, i movimenti mimici nell’aria.
Mimi sotto le onde di seta, Giulia a volteggiare nell’aria, la ciurma e la corte di Alonso alle prese con un dondolo, con un albero munito di vela e pennone e che, alla fine della tempesta, si spezza spettacolarmente, e il tutto fra lampi, tuoni, fragori che mettono a dura prova le corde vocali. Anche se avevo sotto l’Orchestra del Maggio Fiorentino nella Vasca dei Cigni di Boboli, il mio Nostromo del ’48 era un po’ più tranquillo, almeno da un punto di vista di movimento! […]
23 aprile
Il medico curante di Giorgio gli aveva imposto qualche giorno di assoluto riposo; soprattutto l’aggressione e l’intermittenza delle luci di palcoscenico sono deleterie per le condizioni del suo occhio. […]
Il trasferimento al Lirico ha costituito per Giorgio una specie di trauma che non è estraneo alle sue attuali condizioni. L’“addio del Rinascimento” che voleva offrire, con questa Tempesta, dalla “povera grotta” di via Rovello, offriva problemi a dismisura; ma un tale impegno rientrava nella sua natura, era preceduto da esempi folgoranti, dal Coriolano al Nost Milan, da Galilei al Campiello. Il palcoscenico del Piccolo è sempre stato la sua invenzione più prestigiosa. Il Lirico è un partner sordo, opaco, riottoso. Oggi, al suo ritorno in platea, ci accorgevamo tutti dell’influsso di questo ambiente, per tanti riguardi estraneo. Persino le maggiori possibilità tecniche sembrano agire dispersivamente su una approfondita concentrazione interiore. Sembra quasi che mediante questo suo insistere su dati tecnici, di scenografia, di effetti sonori, di immagini in movimento, cerchi di attirare a sé questo partner recalcitrante, cerchi di toccare le corde di un suo “sentimento”.
Può avere sentimenti, un teatro? Certamente. Può avere corde da far vibrare? Senza dubbio.
È quello che Giorgio sta tentando. Una lotta disperata per farsi amico questo palcoscenico. Per rendere “umana” questa sala.
24 aprile
Continua la lotta contro il mezzo tecnico da trasfigurare in un’immagine d’arte. Questa magia di teatro di cui si va sempre più permeando lo spettacolo, data l’immagine folgorante del prologo, non può che essere in progressione. […] Bene ha visto Giorgio nel creare un preciso riferimento costante fra magia di Prospero e mare. Questa coerenza di connessione fra elemento magico e ribollire degli elementi intorno all’isola ci porta a identificare gli spiriti con le avanzate delle onde di seta azzurrina sotto le quali si intuiscono – e a tratti si intravedono – i corpi di chi le mette in moto. Sono gli spiriti presenti e invisibili a gettare la tavola imbandita sulla riva, a gettare una grossa ondata sull’avvallamento fra i due corni del paesaggio in cui sostano i naufraghi e l’ondata si frange, si apre, si ritira, lasciando a terra non i relitti di un vascello naufragato, ma la visione misteriosa, il miraggio di “qualcosa da mangiare” agli occhi di gente ormai allo stremo delle proprie forze. […]
L’Arpia sarà quella dell’iconografia classica, un mitico uccello con volto e petto di donna. E sarà un’Arpia da teatro, anche se rasenterà la convenzione della caratterizzazione. Uscirà da una tromba d’aria, divorerà le vivande, allargherà le ali e, il gesto dell’illusionista, si farà da parte e mostrerà la tavola vuota. […]
Che l’Arpia sia “teatro” lo apprendiamo al termine dell’atto, quando Ariel appare davanti a Prospero che si congratula per la sua interpretazione e dà disposizioni per la prosecuzione dell’azione. E che l’elemento “teatro”, in questo spettacolo, sia sempre sposato ad allusioni di convenzione e quasi di retorica di macchina scenica è la caratteristica più complessa e nevralgica. […]
28 aprile
Incurante del suo male, amorosamente vigilato dalla dottoressa Bianca Zevi, Giorgio domina i marosi talora bestemmiando come il Nostromo, talaltra giocando sulla più magica convinzione dialettica del suo Prospero, o ancora librandosi a volo come un Ariel. A mettere insieme tutte le soluzioni esperimentate lungo tutto l’arco dei cinque atti ci sarebbe materiale per tre diverse regie. Dozzine di registi sarebbero stati felici di aver raggiunto un decimo degli effetti di illuminazione che, per Giorgio, sono ancora allo stato brado. Quante volte sono stato sul punto di esclamare: «Ferma, è bellissimo!» – ma già lui inventava un nuovo effetto che rimetteva in fuga l’attimo che a noi sembrava doveroso arrestare.
Soltanto della tempesta del prologo abbiamo visto tre versioni, tutte di una sconvolgente suggestione. La prima, dopo il passaggio dal totale al primo piano, vedeva la tolda della nave con la vela quasi del tutto abbassata, Nostromo, Capitano e marinai davanti e dietro la vela e i cortigiani che emergevano a mezzo busto dai boccaporti posti sul dondolo, in un effetto da teatro di burattini che poneva la Corte sul piano di un pugno di tragicomici pagliacci, dando al tempo stesso un rilievo di verità dei popolani, della ciurma che lotta realmente contro gli elementi, mentre i potenti tremano di paura e accusano quelli di derubarli della vita. Una seconda soluzione aveva visto i cortigiani come ombre dietro la trasparenza della vela e la ciurma in balia del dondolo, alle prese con corde, sartiame, aggressioni di ondate. Ora, dal totale sparito nel buio, emerge l’immagine di un albero nudo, la vela si immagina in alto, difficile la manovra dei marinai che vogliono ammainarla e di una tolta sulla quale agiscono i marinai. Da un boccaporto posto a fianco dell’albero emergono prima il Re e poi Gonzalo, muniti di lanterne. Da altri boccaporti, posti agli estremi del dondolo, Antonio e Sebastiano si inerpicano sul ponte con le loro lanterne. Verso la fine la vela crolla sul ponte, mentre il mare cresce e la sommerge. Un istante prima del naufragio, l’albero si spezza e le ondate inghiottono tutto il palcoscenico.
Impossibile fare il conto delle ore di prova occorse a fissare queste immagini. […]
31 maggio
Prova tecnica del finale. Nel momento in cui Prospero spezza la sua bacchetta magica, crolla il teatro. Si abbattono le rivette, si inclinano le due gigantesche quinte laterali, crollano gli stangoni dei veli, il ventre del sottopalco mostra strutture come interiora. Il falso happy end viene demistificato come nel 1949, nel finale della Famiglia Antropus di Thornton Wilder, dove Giorgio faceva scoppiare la bomba atomica.
E, al termine di tutto questo, Prospero avanza come nudo in platea e dice l’epilogo.
[…] Ci si ferma, ora, sulle musiche. Giorgio e la sua mostruosa sensibilità musicale. Verifica suoni, timbri, resa di ogni singolo strumento, sia un salterio che una ribeca, sia un flautone che una tromba marina, sia una ghironda che un aulos. Impazzisce di felicità perché gli hanno regalato una ghironda – prova a suonare, si fa dare istruzioni da Raoul Ceroni […] poi torna alla carica con i musici. Gli strumenti, lui, li sente e li guida come sente e guida ritmi, timbri, colori, intonazioni degli attori. […] È lui, in fondo, a creare le musiche accanto al compositore. Se appena avesse una maggiore padronanza della tecnica, comporrebbe lui stesso le musiche dei suoi spettacoli. In genere, questa forma di osmosi e di ispirazione muta gli riesce a menadito con un vecchio collaboratore come Fiorenzo [Carpi]. È un binomio che opera da oltre trent’anni e che ha dato frutti eccezionali. […]
23 giugno
Ma siamo davvero a cinque giorni dalla prima? Il calendario direbbe di sì, ma questo spettacolo, non so come dire, sembra non volersi staccare da chi lo sta facendo: anche se, per molti, il momento della prima sarà una liberazione! Sono ormai quasi cinque mesi di peripezie, di fiato sospeso, di nubi e di schiarite, di speranze e depressioni e ora, a un passo dal traguardo, la data del 28 sembra quasi una Fata Morgana.
[…] Domani, probabilmente, questo atto d’amore per il teatro, questa professione di fede rabbiosa e tenace, questo orgoglio e questa jattura di esserne parte che emergono da questa Tempesta, provocheranno reazioni e interrogativi in chi, dalla platea, non sarà stato impastato di creta in palcoscenico. […]
Quante riflessioni, quanti interrogativi, quante implicazioni ha suscitato in ciascuno di noi la cronaca di lavoro di questi quattro mesi! […] Per ciascuno di noi questa Tempesta è stata davvero uno stimolo imperioso a lottare contro un mistero, ma questo mistero si è dilatato, ha abbracciato la nostra quotidianità, la nostra autobiografia, la nostra collocazione nella cultura, nella società, nella civiltà dei nostri giorni. Ci ha rivolto imperiosi, brutali, drastici interrogativi e, prima o poi, ciascuno di noi, a suo modo, dovrà rispondere. […]
26 giugno
Giorgio inizia il lavoro con lo slancio delle prime prove. È in teatro alle 13, ha verificato dati tecnici e musicali, si è informato sui problemi nati dalla prova di ieri […]. Alle 15 si passa al setaccio tutto il primo atto e ci rendiamo conto che la tensione imposta ad attori e tecnici e affiorante da ogni gesto e da ogni parola di Giorgio è la ricetta adatta ad affrontare la lunga notte che ci attende. C’è elettricità nell’aria, c’è anche una psicosi di timore sui risultati, una psicosi che si manifesta all’insorgere di intralci tecnici nati, talora, da una precedente abitudine ad attendere segnali direttamente dalla platea. […] Non è esagerato dire che tutta la sequenza della tempesta – finora affidata in prevalenza ai segnali impartiti da Giorgio o dagli assistenti – è per la prima volta letteralmente in mare aperto. […]
27 giugno
Inquietanti, sconvolgenti, contraddittorie, queste ultime ore di prove soprattutto per il loro alternarsi di dubbi e certezze, quasi per l’oscura sensazione di qualcosa che potrebbe intervenire, chissà che cosa, ad allontanare ancora di giorni e giorni l’andata in scena. Ma la sensazione non deriva da carenze o dubbi sullo spettacolo o, meglio, non sono questi motivi a determinare una tale sensazione. È piuttosto una ritrosia a staccarsi da questa atmosfera di lavoro che, pure, ci ha portati tutti alle soglie dello sfinimento.
Forse è anche questa sensazione, come un padre che non vuole staccarsi dalla sua creatura?, che continua a indurre Giorgio, a un giorno dalla prima, a lavorare su alcune scene come se si fosse alle prime prove. Ma non si tratta soltanto di questo. È che, più profondamente che in qualsiasi altra vigilia di prima, esiste in lui, con l’inconsapevolezza di ciò che ha raggiunto, anche e soprattutto il rammarico, sì, la disperazione di ciò che non ha assunto l’immagine desiderata. «Mi è sfuggito lo spettacolo di mano!», ripete. È esatto? Certamente no, ma chi di noi può sentire ciò che sente lui? Ha voluto uno “spettacolo di contraddizioni” e ora, forse, il gioco di queste stesse contraddizioni lo atterrisce. Contraddizione come estrema coerenza, attimo per attimo, a un’ispirazione che mai potrebbe essere unitaria e regolare come un’operazione matematica. […]
Ci ha amato e odiato tutti per cinque mesi, voleva stringerci tutti al cuore e, un istante dopo, ci avrebbe inceneriti. Mille volte ha urlato al tradimento, mille volte ha teso le braccia ad abbracciare. […]
Che cosa dire della prova, dei tre atti portati a termine a ore piccolissime? Guardo questa platea che si va vuotando, ascolto frammenti di osservazioni, disposizioni, commenti sul filo di voci rese roche dalla fatica, copioni, borse, fogli sparsi, pacchetti vuoti di sigarette, dove si andrà a mangiare a quest’ora? Guardo la scena ricomposta eppure come devastata ed è come se ci aggrappassimo ancora al paio d’ore del pomeriggio di domani, un paio d’ore di ultimi ritocchi. Poi, il tempo sarà scaduto. Vedo Giorgio che si allontana dalla platea con schive parole di ringraziamento e immagino quali saranno i suoi tormenti, domani sera, chiuso nella sua stanza o in giro intorno al teatro, lui che non assiste mai a una sua prima. Poi qualcuno verrà a prenderlo perché si unisca alla gente nella liberazione dell’applauso e dei ringraziamenti. Facile intuire che non sarà soddisfatto, come mai lo è. Non lo saremo neanche noi. Ma è un discorso diverso da quello della consapevolezza di un dovere compiuto o di un impegno assolto. È un discorso che coinvolge ciò che ancora poteva essere e che, in teatro, lascia sempre uno spazio non misurabile di incompiuto. Qui, in questa Tempesta, più ancora che in precedenti e forse in future occasioni di palcoscenico. Perché La Tempesta è un cerchio magico che non si chiude. Se ne parlerà a lungo – a proposito e a sproposito, con obiettività e faziosità –, noi stessi saremo perseguitati a lungo, immagini di ciò che è stato e non è stato. Noi, e Giorgio prima di noi, tanto più a fondo, tanto più tormentosamente. Credo che ogni regista soffra a lungo di queste Erinni che gli si abbarbicano intorno e assai di rado si trasformano in Eumenidi. […]
«Lo spettacolo è finito», «Lo spettacolo comincia domani». Niente paga la malinconia, ma niente alimenta maggiormente la speranza che accompagnano queste due frasi, dette o avvertite soltanto nel fondo del cuore di ogni teatrante.
Ettore Gaipa, La Tempesta. Cronaca di uno spettacolo, Archivio Piccolo Teatro di Milano, pubblicato in Il metodo Strehler. Diari di prova della Tempesta scritti da Ettore Gaipa, a cura di Stella Casiraghi, Ginevra-Milano, Skira, 2012